Se domattina, improvvisamente, mi svegliassi privata dell’ultima goccia di razionalità e invasa da un’ ondata d’incoscienza, mi riscriverei subito ad un corso di laurea in antropologia e etnologia.
Desiderio che cerco di tenere ben sopito sotto un miliardo di ragioni valide, anni di ulteriore disoccupazione e di gastriti croniche da abuso di caffè, ma che puntuale come un orologio svizzero torna a farsi sentire ogni volta che, valigie ingombranti alla mano del mio fidanzato, mi appresto a viaggiare.
C’è chi ama i panorami, chi rimane a bocca aperta davanti a un tramonto, chi studia minuziosamente un affresco neanche si sgretolasse da un momento all’altro – il mio amato – e c’è chi come la sottoscritta, finito di sbadigliare davanti all’affresco trecentesco, si presta ad osservare l’essere umano nel suo habitat. Tradotto: mi faccio gli affari altrui!
Attitudine, questa, che può diventare decisamente imbarazzante. Il viaggio è il modo meno invasivo che conosco per appagare la mia curiosità e la mia natura pettegola senza incorrere in sgradevoli denunce. Lascio a casa i “vestiti” abituali e adotto quelli del luogo deputato a mia destinazione. L’azzurro predomina quando vado in Grecia, vecchi vestiti di lino anni’70 si insinuano nella mia valigia, sciarpe colorate e borse a tracolla vintage mi accompagnano nelle infinite scarpinate alla scoperta di fortezze e monasteri medievali, lunghe trecce e acconciature neotirolesi sono un must dei miei giri per le terre teutoniche. Sarà per il mio 1/16 svizzero e per l’1/80 tedesco ancora visibile nella carnagione color latte di mucca sbiadito e per l’ amore viscerale per il burro e i crauti, ma riesco a camuffarmi da Fräulein abbastanza bene. Ognuno si pone obiettivi diversi nella vita!
Un buon etnologo si mischia con la popolazione che analizza, si veste come loro e mangia come loro, cerca di vivere come loro, impara da loro. Forse ho guardato troppe puntate di Bones!
Ogni viaggio insegna una nuova ricetta, una nuova parola, un nuovo approccio mille volte più importante degli inutili souvenir che bramiamo per riportare a casa e che nel mio caso, formaggi e speck, infestano il frigorifero per mesi.
Multumesc, hvala. danke, thank you, shukran, efharistò ecc… In ogni viaggio la parola grazie è la prima che imparo e che apre anche le migliori porte, purtroppo la fifa per i viaggi aerei troppo lunghi non mi ha ancora condotto oltre le Colonne di Ercole, ma non ho intenzione di limitare il mio vocabolario e i miei Grazie.
Aldilà del fascino mistico che ha la scoperta delle culture diverse, in ogni peregrinazione c’è però un momento in cui ti penti di esserti incantata ad osservare qualcosa o qualcuno.
Una sola parola mi scorreva nella mente davanti alla nonchalance di una ragazza tedesca che pasteggiava amabilmente una pizza ai peperoni con una tazza di cappuccino. Come cantava l’angelo azzurro Marlene Dietrich: Warum? Warum??
Questi sono i momenti in cui è consigliabile usare lo smartphone ed estraniarsi dal mondo circostante.