Cenerentola per un giorno

Circa una dodici di anni fa – quasi adolescente praticamente – in piena crisi esistenziale da lavoro precario mi arrivò una mail da un’agenzia interinale che mi invitava a presentarmi ad un colloquio per una grande casa di moda.
Già qui mi avevano facilmente convinta e, non vi ho ancora detto quale era il profilo ricercato e per qualche fortuito allineamento di pianeti gli era sembrato adatto a me. C’è qualcosa che adoro più dei vestiti e delle borse? E’ una domanda di prova, per vedere se siete preparati.

All’epoca poi potevo ancora girare indisturbata con le ballerine tutto il giorno, senza che la mia schiena facesse harakiri e i tacchi non erano solo un ornamento della mia camera, vecchi stendardi di un tempo che fu.

Insomma all’epoca ero la perfetta candidata per fare la “modella” di scarpe. Il numero 37 infatti è di solito il numero campionario che viene utilizzato per i prototipi.

A parte l’ironia di pensare a me modella, corsi ovviamente a preparare i miei adorati piedini numero 37 alla loro grande prova.

La selezione fu durissima. Tutta una mattina a camminare avanti e indietro per la stanza prove con ogni modello di scarpe: sandali, stivali di pelle, ballerine, tutte ovviamente numero 37. Sfruttamento allo stato puro.

Ho visto cose che voi non potete immaginare.
Ho visto scarpe che avevo visto solo nelle riviste e ora erano lì ad adornare i miei adorati piedini.

La competizione con le altre modelle del piede era alle stelle, chi aveva il polpaccio troppo magro per gli stivali, chi la pianta larga, insomma tutte tenevamo gli occhi a terra per cercare difetti.

<< Ecco l’ho visto. Quella bionda ha un principio di alluce valgo. Scartatela!>>

Poi dopo tre ore di attesa e varie misurazioni, il fatidico verdetto. Il mio 37 da sempre era in realtà un 36,5 nel mondo dell’alta moda. Discriminazione!

Uno shock che ha minato la mia identità alle basi. Ho dovuto guardarmi allo specchio per vedere se fossi ancora castana o per i parrucchieri biondo scuro.

Effettivamente sarebbe stato troppo bello per essere vero.

Oggi, dopo due figli il piede mi si è allungato, la vecchiaia mi ha regalato quel mezzo punto e riesco a comprarmi tutte le scarpe scontate – campionario n.37 della mia casa di moda preferita 😈. Ci cammino avanti indietro per casa, le testo, le osservo, le fotografo, ma purtroppo non mi paga nessuno…

Meritare o non meritare

Senza svelare l’identità del mio saggio mentore, poco tempo fa mi è stato detto che in Italia per ottenere dei risultati e dei riconoscimenti è preferibile essere bravi che bravissimi. Mediocri ancora meglio.

Per me cresciuta a pane e manie di perfezione quest’illuminante verità è difficile da digerire, se non causa di gastriti quotidiane. Soprattutto dopo che per tutti gli anni scolastici e universitari si è sempre preteso il massimo dei risultati.
La meritocrazia oggi è merce rara, una mera parola con cui fare bei proclami e creare slogan accattivanti, ma la realtà di molti giovani e – non più giovani -è ben lontana dal significato che la mia amata Treccani ne dà:

meritocrazìa s. f. [dall’ingl. meritocracy, comp. del lat. meritum «merito» e –cracy «-crazia»]. – Concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e spec. le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro; il termine, coniato negli Stati Uniti, è stato introdotto in Italia negli anni Settanta con riferimento a sistemi di valutazione scolastica basati sul merito (ma ritenuti tali da discriminare chi non provenga da un ambiente familiare adeguato) e alla tendenza a premiare, nel mondo del lavoro, chi si distingua per impegno e capacità nei confronti di altri, ai quali sarebbe negato in qualche modo il diritto al lavoro e a un reddito dignitoso. Altri hanno invece usato il termine con connotazione positiva, intendendo la concezione meritocratica come una valida alternativa sia alle possibili degenerazioni dell’egualitarismo sia alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione dei posti di responsabilità.

Raramente fuori dall’ambiente scolastico ho sentito il soddisfacente profumo della meritocrazia. Ho sentito tante volte il deludente odore della raccomandazione, del pregiudizio, dello stereotipo, ho sentito più volte il doloroso impatto con i portoni chiusi e le finestre mezze aperte che ti fanno vedere un po’ di luce, respirare un po’ prima di chiudersi definitivamente dopo una folata di vento.

Negli anni sono passata dall’accettazione alla rabbia, dalla rabbia all’accettazione, di non essere giudicata per quello che meritavo, senza sconti e senza rincari.

La maturità almeno quella anagrafica, oggi mi ha donato la lucidità per una critica sana delle mie competenze e capacità, ho abbandonato l’arroganza e la presunzione adolescenziale, ho imparato ad accettare che avevo dei limiti e ho tentato di superarli, migliorandomi.

La rabbia ha con il tempo lasciato spazio al senso di delusione che comunque ha sempre quel cattivo odore di ingiusto. La delusione non è comunque ancora diventata rassegnazione.
Nonostante si tenti quotidianamente ancora di sminuire senza capire, etichettare senza approfondire, io ho deciso di non lasciare che la delusione faccia finire la speranza, devo insegnare ai miei figli che il mio motto SPES ULTIMA DEA non è solo un motto, ma è un diritto.

Al mondo che preferisce i mediocri ai bravi, il minimo al massimo, l’automatismo al pensiero, io dico No.

Non ancora, sarò meno di quello che sono.

Fortunata

Mi sono spesso sentita dire che sono una donna molto fortunata ad avere accanto un uomo che sa cucinare e che aiuta in casa.

Me lo sento spesso ripetere anche da lui che sono fortunata ad avere accanto un uomo che sa cucinare, che pulisce il pavimento, che butta l’immondizia, che riordina eccc…la lista dei suoi aiuti mi viene ripetuta quotidianamente.

Come se, poi, le doti culinarie e la capacità di fare le faccende domestiche fossero una questione di fortuna.

Me tapina che non sono stata illuminata da questa fortuna e la sfiga si è abbattuta su di me, trasformandomi nella peggiore delle casalinghe.

Punto uno. Tutto si impara nella vita. Tutto tranne stirare quello rimarrà il mio grandissimo rimpianto. Ah ah.

Io ad esempio ho imparato a fare le lavatrici e ad azionare l’asciugatrice. Ho imparato a non avvelenare nessuno ai fornelli e a fare degli ottimi 🥞 pancakes. Ho imparato a rifare i letti, tirando su il piumone e ho imparato a fare tutto alla velocità della luce e possibilmente usando più mani e spesso con un figlio in braccio.

Ma per caso qualcuno ha mai sentito dire che Matteo è fortunato per avere una compagna multitasking? No, ovviamente. Per fortuna i complimenti continuo a farmeli da sola.

Certo, sono molto fortunata ad avere incontrato il mio uomo in grigio 13 anni fa, ma mi ricordo perfettamente che nella mia lista per il riconoscimento dell’uomo dei sogni, non ho mai inserito la capacità di stirare o di spolverare.  

Sciocca che sono, ho peccato di poca praticità in effetti.

Lui sulla carta continua ad essere l’uomo perfetto. Io sulla carta la donna che obbliga il suo povero uomo a portare i vestiti da lavare ai genitori perché io potrei rimpicciorli.

Che spettacolo, non sapevo di avere un nuovo superpotere. Potrei esercitarmi anche con il contrario..

Ho proprio bisogno di ampliare il mio armadio.

Conscia di essere fortunata 🍀