La finestra sul cortile

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Se non sapete dove sono chiedete alla vicina

Avete presente quella strana sensazione che  qualcuno vi stia osservando la sera mentre rientrate a casa? L’impressione di lunghe occhiate mentre annaffiate le piante dopo cena? Sentite mai quel leggero bisbiglio intorno a voi mentre parcheggiate la macchina lungo la strada? Ok. Prima che corriate alla polizia per denunciare la presenza di ladri nella zona, rilassatevi sono… semplicemente i vostri nuovi vicini di casa.

Avevo già affrontato il tema del vicinato in un mio vecchio articolo quando facevo la Rilevatrice Istat per il Censimento della popolazione del 2011 e il vicinato in quel frangente era uno strumento utile se non indispensabile a cui ricorrere per carpire informazioni. Bastava una mia semplice domanda esauribile con un si o un no e partiva il racconto dettagliato degli spostamenti di tutto il palazzo o quartiere, o collina se si trattava di campagna.

Le mie riflessioni ai tempi mi avevano portato a pensare che il vicinato nell’era digitale era tutt’altro che morto e Facebook non era l’unica piazza spiata, ma che il cortiletto davanti a casa era fulcro di lunghissime osservazioni neanche nascondesse un giacimento di petrolio.

L’interesse per questo aspetto è ritornato vivo quando mi sono trasferita nella nuova casa – quella in cui cane e fidanzato non vogliono trasferirsi per intendersi – e allora le mie sociologiche riflessioni distaccate hanno lasciato spazio a una vera e propria esperienza etnografica, mi sono calata nella parte del vicino di casa per capire i suoi usi e costumi e il risultato è che dopo un periodo di tentativi impegnativi ho capito che è più facile inserirsi in una tribù di cannibali se ne esistono ancora.

I problemi sono iniziati con i primi lavori di ristrutturazione e con uno in particolare, una piccola tenera finestra che volevo aprire nel mio cortile per areare una stanza cieca.

Se dovessi compilare una lista delle parole più utilizzate l’anno scorso probabilmente la parola finestra sarebbe al secondo posto dove al primo probabilmente troverei Ora mi butto dalla, il mio vocabolario di solito molto variegato aveva subito un impoverimento tale che rischiavo di comunicare solo con i gesti e le espressioni facciali. Le rughe ovviamente così come i capelli bianchi si sono moltiplicate nel mio viso  e quando alla fine la mia finestra sul cortile, parafrasando uno dei miei film preferiti di Hitchcock, è stata definitivamente accantonata grazie al veto dei miei vicini ho capito chi è che comanda veramente in Italia.

Un’entità misteriosa e paurosa nei confronti della quale non ti puoi appellare o invocare perdono… il Condominio. Paura e delirio in Toscana. Al Condominio tu devi chiedere qualsiasi permesso, tu al Condominio devi chiedere se puoi piantare le rose prima che il Condominio ti mandi una comunicazione dove ti avverte che con il tuo giardinaggio aggressivo hai minato il decoro architettonico dell’intero stabile. Ricordiamo che l’erba del vicino deve essere sempre più verde calle

Dopo un anno ho definitivamente messo una pietra sopra a quella finestra – e non solo in senso figurato – e sono diventata molto più cauta nel rapporto con il vicinato

Buongiorno, buonasera, qualche problema se metto un gazebo?

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L’amore al tempo delle… allergie alimentari

dolci

Il primo appuntamento con un nuovo potenziale amore è sempre accompagnato da aspettative e emozioni – entrambe valutabili con un incremento del 99% dell’acquisto di scarpe nuove nella regione di riferimento.  Nei giorni precedenti oltre ai debiti nella carta di credito  mille curiosità si affollano nella mente e non vedono l’ora di essere soddisfatte. Lavoro, hobby, famiglia, cinema, libri e preferenza per cani o gatti. Sono tantissime le cose che si vorrebbero conoscere del nostro Uscente. Termine, questo, scientifico per definire non un portiere di notte, ma un soggetto impegnato in una relazione non seria.

Ma c’è un argomento che oggi viene scandagliato e affrontato ancora molto prima di arrivare a quel fatidico giorno e che può perfino pregiudicare l’opzione per il primo appuntamento. Non tanto il credo religioso e politico, la destra e la sinistra sono oramai categorie superate dopo Renzi, ne l’appartenenza ad una religione diversa e l’amore dichiarato per i libri di Moccia creano più ripensamenti… dell’appartenenza ad un regime alimentare diverso.

Non siamo di certo tutti come Fausto Brizzi che ha sposato una vegana e si è quasi convertito al veganesimo per amore. L’ultimatum Dimmi come mangi e ti dirò se voglio uscire con te in realtà è molto più frequente di quello che si pensa. Se mi fosse capitato un vegano allergico al lattosio e nemico dei carboidrati, per scelta di vita e di trippa, probabilmente lo avrei liquidato essendo  un’onnivora dipendente da dolci, caffè e latte, di certo l’amore avrebbe fatto fatica a superare la colazionecolazione

I problemi possono nascere anche dalle prime conversazioni su WhatsApp:

LUI: Ciao. Davvero carina la foto del tuo profilo? Che cosa stai facendo di bello?

LEI: Ehi grazie, l’ho scattata al volo, solo 120 foto eliminate e  8 filtri di Instagram. Sono nel mio giardino a fare la spesa.

LUI: Faccina perplessa. Senti vorrei portarti a cena sabato sera, che ne dici se andiamo al ristorante indiano vegano senza glutine?

LEI: Faccina con goccia. Sai io non mangio cibo cotto, sono una  crudista convinta, se vuoi ti invito nel mio balcone di casa a pranzo che se siamo fortunati e c’è il sole possiamo essiccare insieme qualcosa, io te e il mio gatto vegetariano Rapa

LUI: Ha abbandonato la conversazione

LEI:Ha aperto una scatola di biscotti crudi

Ecco aldilà dell’estremizzazioni comiche queste sono le nuove dinamiche amorose nel “decennio ribattezzato dell’amore al tempo delle allergie alimentari”. Se Gabriel Garcia Màrquez  fosse vissuto oggi probabilmente avrebbe lasciato il colera per dedicarsi a raccontare l’amore tra allergie, intolleranze e regimi alimentari con un Florentino amante della cucina Primitiva – si lo so esiste anche questa – e una Fermina vegetariana macrobiotica.

Una volta si diceva Moglie e buoi dei paesi tuoi e l’accordo era già fatto. Oggi dovremmo dire Moglie e cane dei cibi tuoi e vissero tutti felici e saziati!

 

 

 

Dancing Queen

 

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Ci raccontano fin da bambine che siamo tutte delle principesse e ci crescono a pane e coroncine fino all’età della ragione ossia fino a quando, deposti gli abiti di carnevale pomposi e le trine, scendiamo dal trono e capiamo che non diventeremo mai delle regine.

Questa è la bugia più grossa a cui siamo state abituate a credere e dopo la storia di Babbo Natale che non esiste e della Fatina dei denti che non era semplicemente tirchia, segna definitivamente il passaggio dall’età infantile a quella adulta.

Con gli anni accettiamo la cruda realtà in cui non c’è spazio per feste di gala, principi azzurri e inchini, ma per abiti pret a porter, party studenteschi e se siamo fortunate ci capita un crostino come Big di Sex and the City. Cenerentola e la sua scarpetta di cristallo si sono trasformate in Carrie Bradshaw e le sue Manolo Blanik. Fino a qui neanche troppo male come evoluzione!

Poi arriva il compleanno della grande Elisabetta d’Inghilterra che a 90 anni suonati non accenna a voler cedere lo scettro del potere al figlio o al nipote – probabilmente aspetta la maggiore età del bisnipote –  e non possiamo che tornare a credere alle favole.

Vestiti color pastello, uno stuolo di nipoti adornati e un piglio da fare invidia.
Una Regina che porta con onore il nome della sua antenata Elisabetta 1 e che è riuscita a traghettare la monarchia inglese nel nuovo millennio nonostante scandali e scossoni mediatici, insomma se non fosse diventata Regina, si sarebbe potuta candidare alla Presidenza dell’Onu.

Un bell’esempio su cui costruire i sogni delle tante bambine che con il loro pigiamino di Cenerentola sognano di diventare regine e sposare un giorno il piccolo George, senza dimenticare i 5 centesimi donati gentilmente dalla Fatina dei denti.

Io oramai a 30anni compiuti posso solo augurare Buon Compleanno alla Regina e continuare ad essere una Dancing Queen, ernia permettendo.

 

 

Se io fossi… un sofà


tvSe mi dovessi paragonare ad un capo di abbigliamento
probabilmente la mia scelta ricadrebbe su un tubino nero con scollo a barca e magari un fiocchetto nel punto vita. Elegante e versatile, un passepartout insomma. E giustificherei la mia scelta con il fatto che  non si hanno mai abbastanza tubini in un armadio così come non si trovano mai due calzini uguali in un cassetto.

Se mi dovessi paragonare a una macchina probabilmente sceglierei una monovolume dinamica e scattante, facilmente parcheggiabile e accessoriata al punto giusto, già con lo stereo funzionante e l’aria condizionata sarebbe un passo avanti enorme rispetto al mio rottame ereditato annata 1997.
Le macchine non sono come il vino, invecchiando non migliorano affatto. Dopo la maggiore età gli unici orizzonti che si aprono con una macchina sono il meccanico e il carroattrezzi!

Se mi dovessi paragonare ad un oggetto di arredamento mi paragonerei sicuramente ad un divano perché è il luogo dove passo la maggior parte del tempo libero – visto la mia naturale pigrizia e la dipendenza da serie televisive e film. Un bel divano, comodo e soffice dove quando ti rialzi hai la schiena che ha già fatto partire la telefonata al tuo chiropratico di fiducia.

Se paragonarsi a tutto questo vi sembra strano per non dire ridicolo sappiate che durante un colloquio di lavoro la probabilità che vi facciano queste domande è abbastanza alta, preciso ieri pomeriggio sono stata convocata a un colloquio dove mi è stato di chiesto di preparare una presentazione dettagliata di me stessa paragonandomi a un oggetto che deve rappresentare in tutto e per tutto la mia personalità. Non so come mai, ma agli addetti alle risorse umane queste domande piacciono tantissimo e la notte mentre noi poveri candidati dormiamo loro si ritrovano per decidere la prossima domanda trabocchetto.

Aldilà della reazione immediata – alzata di sopracciglio e aggrottamento della fronte – mi sono ricordata di quando anni fa in un colloquio per un negozio di articoli sportivi  mi chiesero dopo 45 minuti di analisi socio-psicologica di raccontare la mia ultima esperienza di shopping. E non potendo rispondere che l’abbigliamento sportivo aveva per me la stessa attrattiva di una zuppa di verdure quando sei a dieta, farfugliai qualcosa sulle mie favolose scarpe da running – regalate e mai usate – che mi avevano cambiato la vita in meglio. La cosa buffa è che per la legge del contrappasso alla fine ottenni anche il lavoro e… un rifornimento annuale di sneakers.

Seduta sul mio divano con ai piedi le mie francesine mi chiedo quanto sarebbe più semplice e efficace durante un colloquio fare domande del tipo “quali sono le tue capacità, ambizioni ecc?”. Qualcosa insomma che non costringa il candidato ad ispezionare la propria casa chiedendosi se sia più appropriato essere una lampada o un portaombrelli.

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Già è difficile essere se stessi, figuriamoci un oggetto inanimato.

 

Attese…

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Mentre seduta sulle scale del mio adorato loft grigio poco pazientemente attendo che l’imbianchino si palesi davanti alla mia porta,  mi sento insignita di una visione profetica e illuminante: la vita non è altro che un’eterna attesa.
Per chi fosse nei paraggi sto anche attendendo che qualche anima buona mi porti cortesemente un caffè a domicilio, magari macchiato e con un po’ di cacao.

Nonostante diciamo tutti di andare di corsa dalla mattina alla sera come se alla fine della giornata qualcuno ci premiasse con una medaglia d’oro e di non avere o mai tempo per fermarci e pensare, in realtà tra una corsa e l’altra quello che facciamo meglio è attendere.

Probabilmente chi è in fila alle Poste in questo momento potrebbe sentirsi terribilmente chiamato in causa, ma non mi sto riferendo a nessuno in particolare giuro.
Attendiamo qualcosa tutto il giorno, tutti i giorni, anche quelli che si professano “Fan assoluti del presente guai a fare piani per il futuro” – il mio fidanzato è uno di questi –  in realtà attendono sempre qualcosa.
Probabilmente che qualcuno li svegli dal torpore.

E’ insito nella natura umana proiettare la propria mente in avanti, fare progetti.
Chi non pensa alle vacanze estive a gennaio, chi non pensa quando fare quella telefonata scomoda rimandata 1000 volte, chi non pianifica nei minimi dettagli il proprio futuro per poi vederselo stravolgere da cause di forza maggiore, chi non pensa a quando sposarsi o a fare un figlio o più semplicemente chi non pensa a quanto manca alla fine dell’orario di lavoro e a cosa pregustarsi la sera per cena?  Tutti su Internet condividiamo o cerchiamo le ricette delle migliori  food blogger per poi ricordarsi alle ore 20.05, di ritorno a casa, che il frigo è vuoto e finire così per ordinare una pizza o farsi la classica pasta aglio e olio e peperoncino. Ci gustiamo tutto il giorno piatti virtuali in attesa di poter assaporarne uno in carne e ossa – verdure e gambi se siete vegani – e la maggior parte delle volte la realtà non ci soddisfa mai quanto l’immaginazione.

Siamo generazioni ambiziose bloccate da un’attesa che rischia di essere eterna, attesa che ti immobilizza e che rischia di farti perdere in elucubrazioni virtuali che poi rimangono li dove sono state concepite ossia nel tuo cervello.

Cerchiamo un segno divino – mi accontento anche di un piccione viaggiatore – che ci faccia alzare da questi scalini per decidere almeno se la direzione giusta da prendere sia scendere o salire. Un filetto in crosta con riduzione di aceto balsamico e accompagnato da patate duchesse per cena sarebbe l’ideale, ma se poi non c’è nessuno che te lo cucina è solo fantasia e… soldi sprecati.

Un po’ la vita passata in attesa è questo: fantasia e soldi sprecati. Ma non si sa mai costolette magari Cracco stasera potrebbe suonare alla vostra porta e rendere tutto reale, a me basterebbe che lo facesse in questo momento l’imbianchino visto che comincio ad avere fame e sempre meno pazienza.

Cuscini incriminati

cuscinoSono davvero fiera di avere un bellissimo rapporto con mia suocera, ciò che per molte è un ossimoro per me invece è la pura realtà. Sono davvero tanti gli interessi e gli obiettivi comuni: avere a casa propria il mio fidanzato è uno di questi. E devo ammettere con rammarico che in questa “battaglia” vince sicuramente lei per impegno, determinazione e costanza. Fino a che non imparerò ad usare l’ammorbidente profumato probabilmente la situazione non cambierà.

Saltando la ripetizione dell’ovvio clichè della madre italiana e del figlio mammone ritorno a dire che sono tante le passioni che ci legano e tra queste, in una piramide immaginaria, spicca la moda e l’arredamento. Infatti guardiamo gli stessi programmi televisivi di ristrutturazione di case, veneriamo le stesse scarpe o meglio io venero le sue, portiamo lo stesso numero di piede e se non fosse stato così avrei comunque stretto il mio nelle sue scarpe di Sergio Rossi e leggiamo D-Repubblica tutti i sabati mattina come se fosse la Bibbia.
Insomma le nostre chiacchierate sono spesso quelle di due amiche davanti ad un cappuccino, non dimenticherò mai che mi ha aiutato tantissimo quando l’anno  scorso ho ristrutturato casa e non riuscivo a decidere  tra lo stile  Country e quello Urban-newyorchese e il risultante stile “io vivo in Toscana, ma penso di stare negli Hampton” lo devo anche a lei.

Conosce perfettamente la mia fissazione per i colori e gli abbinamenti: per me accostare il nero e il blu insieme equivale a venire meno alla regola n.1 delle regole non scritte di un uso proprio del colore e infatti nella mia casina ho scelto il cromatismo perfetto fatto di grigio, bianco e nero con accenni di colore qua e là. Dove il colore spesso e volentieri è rappresentato dalla mia persona in tenuta “marinaretta”.

Insomma per venire al dunque, se potessi colorerei tutte le piante del mio giardino dello stesso tono di verde e lei lo sa, visto che me le regala puntualmente e puntualmente io le uccido come un Re Mida al contrario.
Lei sa, sa tutto, conosce i miei gusti, le mie fissazioni e l’amore per la mia casina tricolore e allora mi chiedo… no mi chiedo… ma come gli è venuto in mente di regalarmi due cuscini di seta nera ricamati con filo d’oro e fucsia, dal sapore decisamente etnico per non dire terrificante? Dove li metto io quei cuscini? Nel mio bellissimo divano grigio che posa sulle mie mattonelle color cemento o sulle graniglie vintage grigie? Vicino alla parete nera o a quella grigia? Sulla mia isola bianca e grigia? O vicino alle tende che ovviamente sono grigie?

Ora voi direte. Che problema c’è? Li nascondo, li butto, li regalo, li vendo al mercatino. Sbagliato!! Perché la prima cosa che ogni suocera fa quando entra in casa tua è ispezionare il territorio circostante con i raggi X e fare un report  di dove sono collocati i suoi regali. Ed è quello che è esattamente successo domenica mattina alle ore 12.08 quando la voce del mio ragazzo risuona dal giardino con le parole “Sono venuti a trovarci i miei” e io con uno slancio olimpionico ho tirato fuori i cuscini dall’armadio e li ho volati sul divano grigio soffocando il gridolino di dolore interno.
Menomale che abito in un loft e dalla camera al divano il volo è diretto!

 

 

 

 

 

 

 

Caratteristiche particolari: allergico

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Quando ero al primo anno di Università stipulai con il mio coinquilino una lista fondamentale che mi sarebbe servita da Mantra per gli anni a seguire: le caratteristiche del mio uomo ideale! Lo studio era come si può notare sempre il mio primo pensiero!

La lista che ho buttato un paio di anni fa in un impeto di pulizie di primavera andato a buon fine affermava che il mio uomo ideale doveva essere: alto, bello, simpatico ma non troppo, intelligente, molto molto paziente, ricco, non egocentrico, amante della storia e non permaloso. Molto paziente come ” conditio  sine qua non” per la sua sopravvivenza.

Ai tempi questo mi sembrava un gioco del tutto innocente, ma bisogna stare attenti a cosa si desidera perché prima o poi potrebbe anche diventare realtà. Ricordo alla fatina dei desideri che nel cassetto ho anche la lista dei 10 giornali dove vorrei lavorare e dei 10 eredi al trono che vorrei sposare, non si sa mai

Comunque prima di arrivare al mio fidanzato possessore di tutti i requisiti fondamentali potrei raccontare le mie esperienze amorose precedenti, dopotutto noi siamo la somma delle esperienze passate, ma credo che a parte l’ammutinamento delle mie amiche  forse neanche il il rotolone Regina che è bastato a Dante per scrivere la Divina Commedia  sarebbe sufficiente allo scopo. Senza contare che non ho intenzione di beccarmi denunce da ex fidanzati e ex suocere, dove a preoccuparmi parecchio sono ovviamente le ex suocere.

Tagliando questa parte divertentissima e ricca di aneddoti faccio un salto alla veneranda età di 26 anni quando dopo tre storie importanti, al passivo, ho incontrato il mio adorato fidanzato, l’uomo dai 10 requisiti, peccato che io ne avevo scritti solo 9.

Alto, bello, simpatico, intelligentissimo, molto paziente, non egocentrico, non permaloso e laureato in storia medievale e moderna – forse dovevo essere più specifica e scrivere espressamente storia contemporanea.
Insomma cosa potevo chiedere di più dalla vita? Finalmente un uomo con cui potevo viaggiare, parlare di tutto, discutere un’ora sulla data di una battaglia utilizzando alla fine Wikipedia come arbitro, un uomo dai mille interessi e apparentemente nessun difetto. Almeno fino a quel giorno di primavera di 4 anni fa.

Era un bellissimo giorno di maggio, il sole splendeva, gli alberi erano in fiore, gli uccellini  cinguettavano felici e innamorati e io da appassionata di pic nic e gite fuori porta avevo già preparato la borsa frigo e un thermos di caffè fumante, mi pregustavo insomma un pomeriggio di relax con il mio nuovo amore, ma nulla mi poteva preparare a …

Entro allegra nella sua macchina stranamente sigillata: aria condizionata a palla, pinguini e orsi polari nel cruscotto che mi fanno l’occhiolino, scorta di fazzoletti di carta come monito e November Rain dei GNR di sottofondo. Ancora ignara e contenta – chi sono io per giudicare il momento perfetto per ascoltare i 12 minuti di November Rain  – gli propongo di andare al parco.

Alla mia richiesta lui mi lancia uno sguardo fulminante e le parole << sei pazza io sono allergico al polline, ci rivediamo fra due mesi >> fanno cadere definitivamente il silenzio e finalmente mi si accende la lampadina  e capisco che gli occhi lucidi non erano felicità e commozione e i fazzoletti una divertente mania, ma ero all’inizio di una battaglia annuale che avrebbe richiesto enorme pazienza e la triste rinuncia alle coroncine di margherite in testa. Sono passati 4 anni e lui è ancora vivo e sempre allergico e come tutti gli anni ad un passo dal periodo incriminato, mi chiedo perché in quella maledetta lista non ho inserito 850 voci invece che solo 9.
Non siate timide costole, non indugiate sulle richieste, non abbiate paura di essere sfacciate, anche perché poi dal polline si passa all’allergia alla polvere, alle spore della muffa, alla naftalina usata nei cassetti ecc…

 

 

 

 

Pronti per il cambio di stagione?

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Le chiamano pulizie primaverili perché all’arrivo del caldo si dovrebbe fare un mucchietto delle cose pesanti e ingombranti accumulate durante  il lungo e tetro inverno – tra cui anche quei due chili di cioccolato rimasti nei fianchi – e gettare tutto dalla finestra accompagnando il gesto con l’apertura delle braccia e un sospiro per completare il percorso di rigenerazione.
Ci farebbe davvero bene ogni anno analizzare la nostra vita e gettare ciò che non ci soddisfa più dalla finestra come la negatività  o un lavoro mal pagato, un rapporto sbagliato o lo stress, senza parlare della scopa e dell’aspirapolvere simboli di un’oppressione quotidiana di cui nessuno parla. E perché no riempire il nuovo spazio creato con nuove amicizie, un lavoro creativo e dinamico, tanto tempo per viaggiare e un robot aspirapolvere e lava-pavimenti.

In realtà è molto più difficile lasciare andare gli oggetti, i rapporti, le amicizie, un lavoro anche se insoddisfacente, che fare quel salto nel buio alla scoperta di nuovi orizzonti o nuove marche di elettrodomestici. La liquidità del mondo di cui parla il mio sociologo preferito Bauman ha avuto una grossa battuta d’arresto nella prezzemolina crisi economica di cui tanto chiacchierano i politici.
Una decina d’anni fa, anche  per la vitalità e la compattezza della pelle dei 20 anni, arrivati a primavera buttavo  senza rimpianti il vecchio e facevo posto al  nuovo, nuove scarpe, nuovi fidanzati, nuovi lavori, convinta che questo ciclo stagionale sarebbe durato fino a mio piacimento. Con uno  dei libri di Bauman in mano inneggiavo alla liquidità del mondo e a quella presente nel mio portafoglio.

Oggi siamo cambiati, la crisi ci ha cambiato pensiero e stile di vita, guai a buttare, guai a non riciclare e guai a cambiare senza prima aver pensato e ripensato alle mille conseguenze. E così rimaniamo bloccati sul balcone a pensare, a immaginare come sarebbe  la nostra vita senza fardelli.

Ogni anno  buttiamo dalla finestra il vecchio, ma subito dopo corriamo come Bolt alle Olimpiadi sotto il balcone a recuperare tutto il nostro mucchietto con estrema cautela per paura che qualcuno  ce l’abbia rubato o che si sia irremediabilmente rovinato nella caduta.
Come siamo passati da I love shopping a Homo homini lupus?

Non so se era meglio la gallina intera di ieri o l’uovo in padella di oggi a pranzo, forse le vacche erano troppo grasse prima e troppo magre adesso, ma lasciare  la via vecchia per quella nuova è ancora una delle cose più difficili che ci troviamo ad affrontare quotidianamente e forse è l’unica che ancora il consumismo non ci ha insegnato.

Se vedete quindi, tornando a casa, qualcuno sul balcone fermo immobile non vi preoccupate, probabilmente si è solo incantato a pensare… che deve ancora fare il cambio di stagione