The Truman Show

Ho la fortuna di lavorare a pochi minuti da casa, ho la fortuna di avere l’asilo della casinista a soli 600 m dal lavoro e a 100 m da casa dei nonni. I miei tragitti giornalieri sono brevi e veloci. Tanto che spesso non riesco nemmeno a finire di ascoltare gli audio whatsapp che si accumulano inesorabilmente nel telefono. Non so il resto del mondo, ma io ho conversazioni lasciate a metà che che mi lasciano un senso di suspense tutto il giorno.

Vista l’estrema velocità e ripetitività dei miei tragitti forzati, ogni tanto mi assale la sensazione di essere finita in una sorta di triangolo delle Bermuda quotidiano. L’inverno passato in zona rossa non ha aiutato a liberarmi di questa sensazione.

Quanto siamo passati da zona rossa a zona arancione e finalmente a quella gialla io che, ero abituata a viaggiare, mi sono trovata bloccata, mentalmente bloccata. Così tanto abituata a vedere il mondo unicamente da quelle 3 strade mi sono sentita improvvisamente dentro The Truman Show. Una sorta di criceto che gira a vuoto nella ruota, osservato dall’esterno.

La mia mente nonostante la voglia di scappare dal 🔺 delle Bermuda faticava ad uscire dalla zona rossa mentale. Avevo bisogno di vedere il mare, prendere una barca per scoprire se effettivamente ero prigioniera di un film 🎥 come Jim Carrey.

L’orizzonte e la vista che si perde nel blu senza incontrare ostacoli mi hanno fatto uscire dalla ruota poco panoramica in cui stavo girando.

Ho visto il mare e sono tornata libera.

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Il mio contrappasso

Sapevo che dare due nomi a mia figlia avrebbe contribuito al suo essere istrionica.

Fatina punk

Ammetto che sotto sotto volevo complicarle la vita obbligandola a non essere solo Emma, ma Emma Sveva.

Non immaginavo che il suo nome per lei avrebbe avuto quasi una valenza apotropaica, come un amuleto che a forza di ripeterlo le dona forza. Guai a chiamarla con nomignoli, o appellativi come principessa, lei è Emma Sveva, almeno 500 volte al giorno.

Lei è il mio contrappasso, un contrappasso per analogia.

Lei è la personificazione di quelle caratteristiche che il mondo spesso mi ha addotto come difetti.

Dal momento esatto in cui apre gli occhi alla sera in cui finalmente crolla, il silenzio non è un’opzione contemplabile. Un’infinità di parole, urli, canzoni, indicazioni e commenti che lascia senza fiato anche me, per dirla tutta.

Saluta ogni essere vivente in cui si imbatte, presentandosi ogni volta. Pretende di conoscere il nome di qualsiasi 🐕 a passeggio. Conosce tutti i panettieri, pizzaioli, addetti ai supermercati della zona e guai e dico guai se quelle poche persone con cui abbiamo ogni tanto la fortuna di fare due chiacchiere non la considerano e le fanno apprezzamenti sui vestiti.

L’apice della mia punizione divina per essere logorroica e egocentrica è stato raggiunto qualche settimana fa quando a tavola ci ha sottolineato scocciata che non la lasciamo mai parlare.

Zitti tutti, sto mangiando

Praticamente il suo è un monologo continuo a cui certe volte mi impongo di dare un limite, piazzandola davanti a “qualsiasi cartone, telefilm, programma di cucina, docureality” che passa in quel momento in TV.

So che arriverà il giorno in cui parlerà anche con la TV e allora non ci sarà soluzione.

La cosa che mi fa più incavolare?

Che a me gli apprezzamenti su scarpe e vestiti non li fa più nessuno…

Lei è il mio contrappasso

Sopra i tetti di Parigi?

Come sono passata dal soffrire di vertigini al decidere di vivere in un tetto, giuro non lo so.

Dalle stalle alle stelle in un colpo solo: dal mio adorato loft grigio piano terra nel quale i ladri potevano tranquilamente bussare per entrare ad un tetto al 5°e 6°piano, il tutto pure coscientemente.

Coscienza che ogni volta che mi affaccio dal balcone e guardo a terra va letteralmente farsi friggere.

In questa fase infernale di mezzo tra il piano zero e l’attico e che meglio si identifica come ristrutturazione totale ho scelto l’opzione più tollerabile di un piano primo, corredato da terrazza con affaccio sui tetti. Non di Parigi. Purtroppo

Sono passata dal mio loft grigio cemento stile “casetta in Canada’ ” a un appartamento dal sapore decisamente boho, dimora abituale di una pittrice.

La voglia di ricimentarmi con le tempere non mi è tornata, ma quando vedo quei tetti davanti alla mia finestra mi dimentico della piccola città di provincia in cui sono e mi immagino con un basco inclinato sulla testa e una maglietta a righe con le mani sporche d’inchiostro a imprecare in francese pur sembrando elegante. Praticamente escluso le imprecazioni ho ripercorso il mio vestito di carnevale del 2010.

Il mio appartamento sui tetti, tappa intermedia prima del definitivo 5 e 6 piano, è un po’ più colorato e colorito di un tetto di Montmartre, arricchito dalla telenovela cubana a tutto volume della vicina, dall’abbaiare continuo del cane Roger e da secchi di plastica che vengono calati per recuperare oggetti caduti dai piani sopra. Nelle scale l’odore di varichina si mischia a profumi…. diciamo etnici. Un posto adatto per allenare la fantasia e le mie vertigini. In attesa del vero salto nel vuoto, tappa finale di un lungo percorso, la mia nuova casa, il mio nuovo rifugio grigio, grigio blu balena 🐳 per l’esattezza.

To be continued