Cosa fanno un martedì mattina in centro città una milanese e un’americana? Tentano di capirsi!
Potrebbe sembrare l’incipit della tipica barzelletta… Ma è solo il buffo incontro tra due signore, solitamente separate da un Oceano.
Una milanese, ovviamente mia mamma, la donna con tre nomi e un cognome ostrogoto, accanita sostenitrice delle proprie radici lombardo/teutoniche e un’americana, una bionda signora degli Hamptons che trascorre alcuni periodi in Italia e che ovviamente non poteva scegliere una miglior compagna di conversazione della sottoscritta, logorroica per nascita e per disperazione altrui.
La prima distante solo 500 km dalla terra natia non si è mai integrata nella Toscana d’adozione e conserva immutato il proprio accento, la freddezza tedesca e una R moscia insostenibile. Il risultato linguistico è assolutamente comico per non dire incomprensibile ad un orecchio non allenato. Amante del burro e refrattaria a qualsiasi sport, negli anni ha scambiato il suo spirito avventuriero e hippy per una tinta bianca di capelli e i panni da nonna ancora prima di diventare nonna.
La seconda, decisamente agli antipodi, donna in carriera, amante dello sport, atletica e sostenitrice del cibo sano, curiosa viaggiatrice, ha intrapreso la folle idea di imparare perfettamente l’italiano, verbi inclusi.
L’incontro tra questi due mondi culturalmente e linguisticamente opposti è avvenuto una mattina nebbiosa, il tipico tempo che mette tristezza a tutti tranne che ai milanesi, che di nebbia e cotolette vivono.
K. allenata a gestire la conversazione con me e la mia parlantina non era pronta a quella incomprensibile della mia genitrice che, della generazione che ha studiato francese alle superiori, considera l’inglese una moda passeggera.
Solo per pronunciare Bed and Breakfast correttamente ci sono voluti diversi tentativi risolti con il semplice B. & B.
Il risultato è stata una Babele, un tripudio di lingue e accenti in centro storico: K. cantava le canzoncine americane a Emma Sveva, la mia mamma che aveva chiaramente bisogno di un’interprete e io che mi divertivo troppo ad assistere alla rappresentazione della commedia dell’assurdo.
L’effetto finale era simile a quello di quando da bambini giocavamo al telefono senza fili dove la parola che arrivava all’ ultimo del filo non era mai uguale a quella iniziale.
Forse l’unica che ci capiva davvero tutte e tre era Emmina, abituata alla R moscia e a un po’ di americano maccheronico.
Tornando a casa l’ultimo punto interrogativo rimasto irrisolto nel viso di mia mamma si è finalmente sciolto con la domanda:
Ma gli americani non erano tutti grassi?