La febbre del venerdì sera

Da ex Disco girl, frequentatatrice assidua e instancabile di discoteche per oltre un decennio, ho sempre interpretato l’espressione Febbre del sabato sera come una descrizione esaustiva della frenesia che ti coglie in concomitanza con l’inizio della serata libera per eccellenza. Frenesia accompagnata dalle acconciature e dalla colonna sonora di American Hustle ovviamente.

Sbagliavo.

A mio discapito, ho scoperto che il termine febbre del sabato sera/ venerdì sera è stato probabilmente coniato in un momento di reale sconforto da una mamma ex discotecara, trovatasi improvvisamente a fare conti con un altro tipo di febbre notturna. Quella virale.

Non so per quale legge della fisica i bambini si ammalino esattamente nello stesso preciso istante in cui, finito di lavorare, inizi a fare dei modesti programmi sul tuo fine settimana.

Allo scoccare dell’ora dell’aperitivo del venerdì, quando in procinto di tuffarmi nel divano con il dito già pronto sul telecomando per impostare la maratona di Bing e godermi finalmente una mezzora di sano relax, prima che il breadwinner locale rientri, come il più puntuale degli avvisi di pagamento, la temperatura nella fronte della mia prole sale esponenzialmente.

Per la terza settimana di seguito.

In questi momenti un solo interrogativo mi passa nella mente, oltre ai bigodini di Bradley Cooper in American Hustle, Santa Tachipirina dove sei? Vieni a me!!!

Ho guardato troppe puntate di Sailor Moon da piccola. Decisamente fuorvianti.

Ma la Tachipirina, ingrata e crudele, dimenticata durante la settimana di perfetta salute, non ha intenzione di venirmi in soccorso e così con un ultimo scatto felino, memore di vecchie glorie, abbandono il divano e mi alzo.

Il ferro arricciacapelli, mio storico amico dal 2007 giace abbandonato nell’armadietto del bagno e io sono veramente pronta a godermi la vera febbre del weekend, quella che mi fa sudare davvero.

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Il girone delle influencer laureate

laurea
28/2/2011 Laurea Magistrale e dentino egocentrico

Ho rischiato di prendere una seconda laurea. Ho rischiato di essere rinchiusa in uno speciale girone dell’Inferno: quello delle laureate recidive e masochiste.
Non era sufficiente essere bloccata nel limbo delle laureate magistrali dove la sola speranza di raggiungere il Paradiso è vincere un concorso pubblico o trovare un’azienda illuminata, ma talmente illuminata da rischiare di assumere a tempo indeterminato una laureata in età da figli, con prole a carico e rischio di urgenze infantili.
Un limbo certe volte peggiore del inferno.
Chissà Dante come avrebbe dipinto la Beatrice di oggi. Come un’ influencer social addicted o una ricercatrice precaria laureata in lettere antiche?

Recentemente ho provato a superare il test d’ammissione per entrare nel circolo privato delle logopediste, circolo privato perché solo 16 di un numero innumerevole di speranzosi viene eletto a farne parte. Quesiti di chimica, biologia, fisica, matematica e logica, un test che da umanista mi ha messo in discussione.
Alla fine non ce l’ho fatta, non sono entrata, ma ho ottenuto una buona posizione in graduatoria.

Sono grata al mio amato studio per ricordarmi ogni giorno che si può sempre imparare e comprendere ambiti e materie che non ci sono affini per indole e percorso scolastico. Studio da sempre, studio per passione e per aggiornamento, per provare a migliorare la mia condizione e per non arrendermi alla staticità. Studio per sapere.

Ho scelto la via più ardua, le nottate in bianco. Potevo iscrivermi al corso di laurea triennale da Influencer e avrei risolto tutti i miei problemi oltre che una volta per tutte le ansie da armadio pieno e zero cose da mettere. Due scatti al giorno e lo stipendio assicurato. Bastava un pigiama e le occhiaie per il post della mattina e il piumone imbottito da cui spuntano solo i miei capelli per quello della buonanotte. Ecco la pubblicità del materasso.

Chissà in che particolare girone finiranno le future influencer laureate, snobbate dai grandi marchi perché dotate di laurea. Nel girone delle influencer precarie?