Almost 40

Mi hanno detto che a 40 la vita inizia a prendere una piega più piacevole, rilassata e positiva. Non so se sia effettivamente la classica bugia buona per nascondere la realtà dei fatti, la realtà della mezza età.

Lo scoprirò a breve. Oggi ancora per un po’ho solo 39 anni, sono al mare con pargolo n.2 che mi dorme addosso e profuma di salsedine e guardo pargola n.1 entrare ed uscire dall’acqua ogni 3 minuti. Io sono entrata in acqua mezza vestita e ho scelto la sdraio vicino ai bagni. Forse ho già 40 anni da 10 anni.

Eppure quest’estate ho virato volontariamente la mia vita verso un futuro incerto. Ancora devo capire quali scogli mi aspettano, forse più grossi di quelli che ho scansato o se invece sarò cullata dalle onde senza arenarmi di nuovo. Bo.

L’unica cosa che ho capito da questa esperienza e potrebbe essere il preludio della fase rilassata e positiva, non parlerei di satori, ma piuttosto di consapevolezza, è che niente e nessuno sa cosa è meglio per noi o vale la nostra infelicità e frustrazione. Nel preciso momento in cui mi sono liberata da ciò che mi faceva sentire non appagata e ho scelto la virata, ho capito che era quella scelta ad avermi dato la gratificazione che cercavo. La scelta mi ha fatto ritrovare la sicurezza sopita da troppi anni di compromessi e dai miei silenzi dopo i bocconi amari. Questa volta non ho aspettato il cambiamento, l’ho creato. Progettato e intrapreso.

Non so cosa accadrà con questi 40 anni, io che in faccia me ne vedo 80, ma nello spirito ora me ne sento 20. Ma non ho più paura di rischiare, se in ballo c’è la mia felicità e di conseguenza quella delle persone che amo.

And so 40 is the new 20 + le macchie solari.

Comunque una cosa è sicura, 39 o 40, domani è un altro giorno.

Guai a chi mi schizza

Cose nuove, cose vecchie

Ho provato un nuovo e piacevole brivido a ritrovare, strada facendo, abitudini vecchie che pensavo oramai di aver chiuso in quel famoso cassetto della memoria. Fino a che regge, la memoria.

Cose nuove, cose vecchie.

Strada facendo, senza gli stivali di pelle e senza il fiato dei miei 20 anni, sono tornata ad una delle mie feste medievali preferite per festeggiare il 40° compleanno della mia sister in love.

Le viuzze piene di ragazzi con i vestiti medievali, il paesino trasportato in un’altra epoca, l’odore del vino speziato e il suono dei tamburi che dava il giusto ritmo, per un attimo mi è sembrato ieri – e non più 13 anni fa – che ridevo in quei vicoli.

Con una gonna floreale, il rossetto rosso e le pianelle mi sono fatta largo nella folla con la confidenza di chi conosce e sa dove andare, mi sono sentita di nuovo me, dopo una serata a ridere e scherzare in quei pochi passi insieme alle amiche.

Cose nuove ed inaspettate che una volta erano vecchie e conosciute. Cose che una volta davo per scontate e che oggi invece mi rendo conto che non lo sono affatto.

Strada facendo, con una borsa di tela e i miei libri a farmi compagnia, sono salita su un treno, un tardo pomeriggio di un giorno infrasettimanale per partecipare alla riunione di una delle testate giornalistiche con cui collaboro saltuariamente. A parlare di cosa scrivere e di come farlo. Un lusso.

Ho fatto il biglietto andata e ritorno in biglietteria, sapendo che sarei tornata dopo cena, sapendo che stavo facendo qualcosa solo per la me per la quale non trovo mai il tempo.

Strada facendo, mi sono ricordata di quanti treni prendevo settimanalmente, di come riconoscevo i rumori, i paesaggi, le persone. Strada facendo ho ripreso confidenza con il tempo trascorso a leggere su un sedile mentre le città scorrono a lato. In un vocale inviato una mia amica ha riconosciuto quel suono inconfondibile della stazione.

Ma sei in treno Ceci?

vocale delle 21.10

Un punto interrogativo che dice tutto. Quel treno è stato compagno di avventure in tutti gli anni dell’università e anche dopo.
Un luogo portatore di cose vecchie e dense di significato, rumore inconfondibile non solo per me.

Strada facendo sono tornata in uno dei miei posti del cuore, luogo di tanti ricordi con il mio compagno, questa volta insieme ai miei figli.
Strada facendo e diverse canzoni dopo ho intravisto quel mare diverso e ho riconosciuto quelle vie del centro, vive e vissute, piene di bambini che correvano . Con loro anche i miei figli, e io strada facendo, ero diventata una mamma che con il trench e le scarpette raccoglie pupazzi da terra.

Strada facendo, cose vecchie sono tornate ad essere nuove e quelle nuove sono diventate vecchie.

Giuro che non è uno scioglilingua e giuro che non sto sfidando l’intelligenza artificiale formulando frasi a caso. Ma quanto è bello invertire le cose vecchie con quelle nuove e con loro anche noi stessi.

Le radici del capello

Adoravo il colore naturale dei miei capelli, tutte le sfumature della castagna e d’estate qualche ciocca più chiara.
Insomma, tutti i colori dell’autunno caldi e sfaccettati, lì a portata di spazzola. Si abbinavano perfettamente ai miei occhi, eccetto per quelle pagliuzze verdognole che vedo solo io.

Si vedono le pagliuzze? – Pic by Tania Barbagli in arte @Bia

Poi l’età che inesorabile avanza, mi ha posto davanti ad una difficile, ma inevitabile scelta.

Tinta si o tinta no.

Il mio primo istinto, dopo un tentativo maldestro di eliminazione alla radice, fu quello di lasciar che i capelli bianchi si diffondessero in modo libero e felice – mi immaginavo già con un caschetto sale e pepe alla Diane Keaton – poi la mancanza di abbastanza pois nel mio guardaroba e di una carriera cinematografica mi ha fatto desistere definitivamente dal mio intento.
Alla veneranda età di 34 anni ho iniziato a tingermi i capelli, ma ammetto senza entusiasmo e soddisfazione.
Il mio attuale castano non ha niente a che vedere con il mio colore naturale, è solo una pallida imitazione, un vano tentativo di ricordare il castano che fu.

Nel tentativo di cambiare quello che non potevo ritrovare, ho tentato anche il colpo di testa e, ispirata dalla storia di Puffetta, mi sono fatta bionda, ma il risultato, oltre a non donare affatto alla mia pelle inverno profondo, mi ha reso schiava dei trattamenti anti-giallo che poi erano più anti-arancione.

Oggi dopo aver provato una quantità infinita di tonalità castane, dalla più fredda alla più calda, mi sono trovata a mostrare alla mia collega ancora capelli naturali, i miei lunghi capelli illuminati dal sole e dallo shampoo capelli biondi che mi dava l’impressione di schiarirmi naturalmente.

I capelli castagna e Burri

Allora ho capito che dovevo smettere di piangere sui capeli perduti e andare diritta al punto ed estirpare il problema alla radice.
Se i miei capelli non si abbinano più alla mia faccia è giusto risolvere il problema radicalmente.

Cambiando la mia faccia.

Forse è arrivato il momento di fare qualche ritocchino, tentare qualche rinfrescatina, effettuare una rimpolpatina e tornare magicamente e definitivamente ai miei 16 anni.
Tanto la pettinatura, quella, è sempre la stessa.

All I wanted for Easter

Sarebbe bello se ci fosse il sole o anche solo la parvenza di un clima primaverile per Pasqua & Pasquetta.

Sarebbe bello far prendere colore alle mie candide braccia.

Sarebbe bello non avere entrambi figli malati e molto probabilmente di due virus differenti cosicché, passati i classici giorni di incubazione, faranno un simpatico scambio virale o come suggerito da alcuni daranno vita a un super sayan dei virus.

Sabato mattina scorso la mia amica – Mamma di due sotto i 4 – decisamente più provata dalla mancanza di sonno della sottoscritta – Mamma di due sotto gli 8 – mi ha domandato cosa sarebbe bello o di utilità per la nostra routine quotidiana, routine che dai vocali che ci mandiamo ha poco del condizionale in questo momento.

La sua non era una domanda retorica, non aveva niente di filosofico, ma era la richiesta chiara e lucida di una persona stanca che si rende conto di aver bisogno di uno spiraglio di luce in fondo al tunnel del pulire casa-lavoro-figli-lavatrici-lavaggi nasali.

C’è un codice di comportamento non scritto tra amiche stanche che ci obbliga a rispondere ai messaggi almeno con una faccina di supporto, una rete fitta e invisibile di comunicazioni istantanee che all’occorrenza sdrammatizzano, consolano, rispondono e consigliano.

Stavolta toccava a me rispondere e nell’ora in cui di solito si svegliano solo i galli, seduta sul tappeto con la schiena contro il divano e con in braccio il piccolo Leone noioso per la bocca, mani piedi non ho avuto nessun tentennamento, nessuna esitazione.

Senza troppi indugi gli ho risposto:

Sarebbe bello avere abbastanza entrate economiche per farsi aiutare con le incombenze domestiche e potersi permettere una baby sitter più giorni a settimana, prima di rimanere definitivamente schiacciate sotto una pila di vestiti puliti usciti dall’asciugatrice o pitturate da nativo americano con pennarelli che dovrebbero essere superlavabili e non lo sono. Perchè tra il muro bianco e la mia bianca pelle alla fine ho scelto di sacrificare la seconda.

whatsapp verità di un anonimo sabato mattina

In attesa di queste maggiori entrate economiche sarebbe bello intanto uno spiraglio di sole, almeno vedrò la fine del tunnel… della dispendiosa combo lavatrice – asciugatrice.

Sarebbe troppo bello versione Pasquale

Partecipa anche tu al gioco del Sarebbe bello.

Di macchie e lentiggini

Sono rimaste solo poche lentiggini sul naso e in cima agli zigomi a ricordarmi che il sole ☀ dopo i 30 anni non è sempre solo un nemico, artefice di macchie antiestetiche.

Baffetti da cosacco

Mi sono sempre piaciute le mie lentiggini sparse, disordinate, irriverenti, scordinate che fanno capolino con i primi raggi di sole caldo e che poi tornano in letargo d’inverno.

Le macchie invece quelle antipatiche non ti abbandonano mai, si piazzano lì e nonostante le creme più disparate puoi solo sperare che non aumentino, moltiplicandosi come i funghi.

Stamattina mi sono guardata allo specchio e ho visto un viso stanco, le labbra secche, le occhiaie, i capelli che necessitano delle mani esperte del parrucchiere e quelle macchie sopra il labbro che da lontano sembrano i baffi di un cosacco. Al telefono in un messaggio vocale d’aiuto in risposta ad un altro messaggio d’aiuto – c’era una volta il telefono senza fili – ho ammesso all’orecchio amico che mi sento in pieno Burnout e quando mi sono guardata allo specchio ho pensato che si vedeva tutto.
Forse con uno strato di stucco arancione posso camuffare un po’ le occhiaie, forse il caffè con la cioccolata della macchinetta al lavoro può momentaneamente ridarmi la carica, un po’ di riposo alleggerire le braccia pesanti e qualche integratore rinvigorire le gambe molli, ma la testa che vede solo muraglie cinesi quella non la posso facilmente ingannare.

Di macchie e lentiggini sono piena, ma al momento vedo solo macchie.

Compagni di viaggio

Nel tortuoso e bellissimo viaggio che è la vita abbiamo la fortuna di condividere il cammino con persone che ci rendono i passi più leggeri e significativi, facendo passare in secondo piano quei traguardi che ci prefissiamo e che non sempre raggiungiamo.

Facciamo la strada insieme, guardandoci a vicenda le spalle, scherzando del tempo bello e del tempo brutto, dei sassolini persi lungo il tragitto e delle volte che siamo rovinosamente inciampati. Gli amici, gli amori, la famiglia, coloro che scegliamo di eleggere come compagni di viaggio diventano testimoni  consapevoli del nostro vissuto, facce in cui specchiarci e orecchie a cui non possiamo mentire.

Ci aspettano pazienti ai bivi importanti e ci indicano spesso la strada se ad un certo punto ci perdiamo.

Più strada facciamo insieme e più diventano come bussole insostituibili del nostro viaggio: oramai lontani dalle strade affollate della nostra gioventù, le persone che percorrono con noi la strada nella maturità ce le siamo accuratamente scelte e continuiamo a sceglierle ogni giorno.
Come marito e moglie che dopo tanti anni insieme iniziano ad assomigliarsi, diventa difficile distinguere dopo tanti anni sè stessi dal proprio amico, sè stessi dal proprio compagno.
Il loro braccio così familiare diventa il nostro braccio, i loro occhi diventano i nostri occhi, le mani così abituate a salutarsi e a sorreggersi si confondono l’una nell’altra.

Appoggiamo i piedi sulla stessa unica strada. Una strada condivisa che diventa sempre più lunga e importante ad ogni passo, una strada che più cresciamo percorriamo lentamente, prendendoci delle pause per chiacchierare o per ammirare il paesaggio, girandoci indietro a guardare se i nostri compagni di viaggio sono ancora tutti lì.
La verità del viaggio della vita è che non c’è nessun traguardo da raggiungere, solo compagni con cui festeggiare le tappe intermedie e che se mancano, ti fanno traballare rischiando di cadere.

Senza quella spalla su cui poter contare, senza l’orecchio paziente a cui puoi raccontare, senza quella battuta divertente a sdrammatizzare,  la strada diventa più faticosa e troppo troppo ampia.
Cerchi invano quello zaino familiare a cui aggrapparti per fare più veloce la salita, ma non lo vedi.
Puoi solo aspettare che si sia momentaneamente fermato ad allacciarsi le scarpe, puoi solo sperare di ripartire insieme.

Cenerentola per un giorno

Circa una dodici di anni fa – quasi adolescente praticamente – in piena crisi esistenziale da lavoro precario mi arrivò una mail da un’agenzia interinale che mi invitava a presentarmi ad un colloquio per una grande casa di moda.
Già qui mi avevano facilmente convinta e, non vi ho ancora detto quale era il profilo ricercato e per qualche fortuito allineamento di pianeti gli era sembrato adatto a me. C’è qualcosa che adoro più dei vestiti e delle borse? E’ una domanda di prova, per vedere se siete preparati.

All’epoca poi potevo ancora girare indisturbata con le ballerine tutto il giorno, senza che la mia schiena facesse harakiri e i tacchi non erano solo un ornamento della mia camera, vecchi stendardi di un tempo che fu.

Insomma all’epoca ero la perfetta candidata per fare la “modella” di scarpe. Il numero 37 infatti è di solito il numero campionario che viene utilizzato per i prototipi.

A parte l’ironia di pensare a me modella, corsi ovviamente a preparare i miei adorati piedini numero 37 alla loro grande prova.

La selezione fu durissima. Tutta una mattina a camminare avanti e indietro per la stanza prove con ogni modello di scarpe: sandali, stivali di pelle, ballerine, tutte ovviamente numero 37. Sfruttamento allo stato puro.

Ho visto cose che voi non potete immaginare.
Ho visto scarpe che avevo visto solo nelle riviste e ora erano lì ad adornare i miei adorati piedini.

La competizione con le altre modelle del piede era alle stelle, chi aveva il polpaccio troppo magro per gli stivali, chi la pianta larga, insomma tutte tenevamo gli occhi a terra per cercare difetti.

<< Ecco l’ho visto. Quella bionda ha un principio di alluce valgo. Scartatela!>>

Poi dopo tre ore di attesa e varie misurazioni, il fatidico verdetto. Il mio 37 da sempre era in realtà un 36,5 nel mondo dell’alta moda. Discriminazione!

Uno shock che ha minato la mia identità alle basi. Ho dovuto guardarmi allo specchio per vedere se fossi ancora castana o per i parrucchieri biondo scuro.

Effettivamente sarebbe stato troppo bello per essere vero.

Oggi, dopo due figli il piede mi si è allungato, la vecchiaia mi ha regalato quel mezzo punto e riesco a comprarmi tutte le scarpe scontate – campionario n.37 della mia casa di moda preferita 😈. Ci cammino avanti indietro per casa, le testo, le osservo, le fotografo, ma purtroppo non mi paga nessuno…

Meritare o non meritare

Senza svelare l’identità del mio saggio mentore, poco tempo fa mi è stato detto che in Italia per ottenere dei risultati e dei riconoscimenti è preferibile essere bravi che bravissimi. Mediocri ancora meglio.

Per me cresciuta a pane e manie di perfezione quest’illuminante verità è difficile da digerire, se non causa di gastriti quotidiane. Soprattutto dopo che per tutti gli anni scolastici e universitari si è sempre preteso il massimo dei risultati.
La meritocrazia oggi è merce rara, una mera parola con cui fare bei proclami e creare slogan accattivanti, ma la realtà di molti giovani e – non più giovani -è ben lontana dal significato che la mia amata Treccani ne dà:

meritocrazìa s. f. [dall’ingl. meritocracy, comp. del lat. meritum «merito» e –cracy «-crazia»]. – Concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e spec. le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro; il termine, coniato negli Stati Uniti, è stato introdotto in Italia negli anni Settanta con riferimento a sistemi di valutazione scolastica basati sul merito (ma ritenuti tali da discriminare chi non provenga da un ambiente familiare adeguato) e alla tendenza a premiare, nel mondo del lavoro, chi si distingua per impegno e capacità nei confronti di altri, ai quali sarebbe negato in qualche modo il diritto al lavoro e a un reddito dignitoso. Altri hanno invece usato il termine con connotazione positiva, intendendo la concezione meritocratica come una valida alternativa sia alle possibili degenerazioni dell’egualitarismo sia alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione dei posti di responsabilità.

Raramente fuori dall’ambiente scolastico ho sentito il soddisfacente profumo della meritocrazia. Ho sentito tante volte il deludente odore della raccomandazione, del pregiudizio, dello stereotipo, ho sentito più volte il doloroso impatto con i portoni chiusi e le finestre mezze aperte che ti fanno vedere un po’ di luce, respirare un po’ prima di chiudersi definitivamente dopo una folata di vento.

Negli anni sono passata dall’accettazione alla rabbia, dalla rabbia all’accettazione, di non essere giudicata per quello che meritavo, senza sconti e senza rincari.

La maturità almeno quella anagrafica, oggi mi ha donato la lucidità per una critica sana delle mie competenze e capacità, ho abbandonato l’arroganza e la presunzione adolescenziale, ho imparato ad accettare che avevo dei limiti e ho tentato di superarli, migliorandomi.

La rabbia ha con il tempo lasciato spazio al senso di delusione che comunque ha sempre quel cattivo odore di ingiusto. La delusione non è comunque ancora diventata rassegnazione.
Nonostante si tenti quotidianamente ancora di sminuire senza capire, etichettare senza approfondire, io ho deciso di non lasciare che la delusione faccia finire la speranza, devo insegnare ai miei figli che il mio motto SPES ULTIMA DEA non è solo un motto, ma è un diritto.

Al mondo che preferisce i mediocri ai bravi, il minimo al massimo, l’automatismo al pensiero, io dico No.

Non ancora, sarò meno di quello che sono.

Fortunata

Mi sono spesso sentita dire che sono una donna molto fortunata ad avere accanto un uomo che sa cucinare e che aiuta in casa.

Me lo sento spesso ripetere anche da lui che sono fortunata ad avere accanto un uomo che sa cucinare, che pulisce il pavimento, che butta l’immondizia, che riordina eccc…la lista dei suoi aiuti mi viene ripetuta quotidianamente.

Come se, poi, le doti culinarie e la capacità di fare le faccende domestiche fossero una questione di fortuna.

Me tapina che non sono stata illuminata da questa fortuna e la sfiga si è abbattuta su di me, trasformandomi nella peggiore delle casalinghe.

Punto uno. Tutto si impara nella vita. Tutto tranne stirare quello rimarrà il mio grandissimo rimpianto. Ah ah.

Io ad esempio ho imparato a fare le lavatrici e ad azionare l’asciugatrice. Ho imparato a non avvelenare nessuno ai fornelli e a fare degli ottimi 🥞 pancakes. Ho imparato a rifare i letti, tirando su il piumone e ho imparato a fare tutto alla velocità della luce e possibilmente usando più mani e spesso con un figlio in braccio.

Ma per caso qualcuno ha mai sentito dire che Matteo è fortunato per avere una compagna multitasking? No, ovviamente. Per fortuna i complimenti continuo a farmeli da sola.

Certo, sono molto fortunata ad avere incontrato il mio uomo in grigio 13 anni fa, ma mi ricordo perfettamente che nella mia lista per il riconoscimento dell’uomo dei sogni, non ho mai inserito la capacità di stirare o di spolverare.  

Sciocca che sono, ho peccato di poca praticità in effetti.

Lui sulla carta continua ad essere l’uomo perfetto. Io sulla carta la donna che obbliga il suo povero uomo a portare i vestiti da lavare ai genitori perché io potrei rimpicciorli.

Che spettacolo, non sapevo di avere un nuovo superpotere. Potrei esercitarmi anche con il contrario..

Ho proprio bisogno di ampliare il mio armadio.

Conscia di essere fortunata 🍀

A voce alta

Certi pensieri, fino a che non li esprimi almeno una volta a voce alta – a un essere umano, all’icona di whatsapp, o allo specchio – quasi sembrano non esistere. Svaniscono.

Le preoccupazioni, le ambizioni, le arrabbiature improbabili, scomode e strampalate, se rimangono inespresse possono consumarti, inesplose possono mandarti dal gastroenterologo se ancora non ti sei deciso ad andare da uno psicologo.

Non tutti hanno la fortuna abnorme di avere una rete di amicizie che ti tengono a galla e che, tramite un fitto scambio di whatsapp mattutini, ti fanno sentire meno sola e strana. Perché ci sono alcune giornate che sono davvero troppo pesanti per sopportarle da soli. Ho quindi pensato di amplificare la mia platea di perfetti sconosciuti a cui raccontare cose improbabili, tornando a fare la speaker radiofonica. Così quei pensieri sparsi nell’etere acquisiranno vita propria.

Ve le racconto io le mie paturnie a voce alta e, se voi volete, me le potete raccontare – scrivendomi – o semplicemente dirle mentre siete in macchina o in cucina, tanto anche io parlo da sola con gli elettrodomestici e gli audiovisivi.

Benvenuti nel mio spazio bianco che da anni diventa bianco e nero con le mia parole. Non sono una brava speaker radiofonica e ascolto in modo selettivo, ma credo fortemente nell’empatia, anche quella a distanza, perché la condivisione può davvero alleggerire il silenzio assordante delle nostre giornate fatte di impegni e quasi mai di relazioni.

Rimanete sintonizzati quindi perché a gennaio, a panettone digerito, torno a parlare su https://radioincontri.org/.