I used to love..

Non so bene come, ma è successo: sono diventata una persona che odia il giorno del suo compleanno o meglio vorrebbe ignorarlo o meglio vorrebbe che il mondo lo ignorasse.

Come sono passata dalla modalità “Birthday Girl” a “spero che passino veloci queste 24 h” davvero non lo so. Per anni ho aspettato con ansia il 7 settembre sul calendario.

La mia data preferita, quasi apotropaica. Il giorno perfetto per vestirsi strana e per essere al centro dell’attenzione del mio piccolo mondo.

Non so se è la paura di invecchiare o un rigurgito di sobrietà, ma da qualche anno troppa attenzione mi genera un certo fastidio, quasi disagio.

Adoravo per il mio compleanno vedere tutte le mie amiche e costringerle a vestirsi in modo assurdo per seguire i temi delle mie feste, adoravo aspettare la mezzanotte solo per indovinare chi mi avrebbe fatto gli auguri per primo, adoravo progettare vacanze al mare per festeggiare simil abbronzata, adoravo concedermi piccoli regali e dolci deroghe alla mia ferrea routine. La Sacher Torte in primis.

Adoravo avere tutte le mie persone preferite vicino e adoravo per un giorno non pensare ad altro che alla mia acconciatura e al vestito da indossare sulle mie scarpine argento o quale castello impervio slash torre medievale Matteo mi avrebbe fatto visitare, non curante delle mie vertigini.

Adoravo il mio compleanno. Adoravo, io che non amo le sorprese, sorprendere me stessa per un giorno.

Stamani ho adorato il mio caffè e sto adorando questo silenzio mattutino che i pargoli mi stanno regalando. Adoro i pochi, ma sinceri auguri arrivati puntuali per la colazione e cercherò di regalarmi qualcosa di speciale che sia un bagel con il salmone o la cosa più cioccolatosa che riesco a+ salvare dalle grinfie di Emma Sveva, degna figlia di sua madre con il fiuto più potente del mondo.

Contenta di aver avuto la possibilità di oscurare la data del compleanno dai social, devo però ringraziare il mondo virtuale che mi ha profilato negli anni e mi fa rivivere alcuni dei miei giorni speciali.

La donna del giorno*

Anni fa trovai nel mio amato D-Repubblica un articolo dal titolo a dir poco interessante: L’importanza di essere Cecilia, scritto in un bel grassetto nero.

Ovviamente da buon egocentrica ritagliai il titolo dalla pagina per incorniciarlo, come se la mia camera di 20enne non fosse già abbastanza piena di me. Ancora mi sembra strano che non scrissi quel titolo nelle pareti a caratteri cubitali. Forse perché non c’erano più pareti vuote.

Questo episodio mi è tornato recentemente alla mente perché al momento ho difficoltà a capire cosa voglia dire Essere Cecilia e ancora di più fatico a riconoscerne l’Importanza di esserlo.

La mancanza di sonno, la totale simbiosi con un neonato, la permanenza prolungata tra le mie quattro mura e il terrazzo mi hanno trasformato in qualcosa che devo ancora capire. Non lavoro, scrivo poco, leggo ancora meno, cucino spesso, passo le mie giornate tra la farmacia e il parco, con la speranza di accaparrarmi un po’ di fresco.

Ci sono già passata cinque anni fa, so che l’allattamento è immersivo e l’odore del neonato è inebriante – non quello del suo vomitino o dei pannolini sporchi che ti rimane incollato al naso per giorni – e in tutto questo ci si può perdere.

Lo smartphone diventa l’unico collegamento con il mondo con il rischio di rimanere imbottigliati nel mare magnum dei reel di mamme disperate o pancine che fanno apparire l’essere mamma come qualcosa di estremo, in un senso o nell’altro. L’unica zattera di salvataggio sono sempre le amiche, quelle del venerdì sera che come te remano per non affondare e che anche se più vecchie si, ti tengono a galla. Sono le uniche con le quali puoi parlare male dei suoceri, cosa non banale.

Oggi ho messo il piccolo Leone nella palestrina, almeno qualcuno in questa casa finge di fare sport, e mi sono fermata a pensare o meglio a scrivere questo mio senso di straniamento. Cosa vuol dire Essere Cecilia oggi? Come ricordarmi l’importanza di Essere Cecilia oggi?

Non ho trovato ancora una risposta nè alla prima nè alla seconda domanda.

Mesi fa pensavo che in maternità mi sarei finalmente dedicata alle mie passioni: scrivere un libro, fare centrini con il macramè, passeggiare per mercatini e fare lunghe colazioni con un libro o un giornale in mano.
Finalmente avrei avuto il tempo per riconnettermi al mio vero Io, facendo ciò che più amo.

Stupidamente non avevo calcolato il fatto che la maternità implica occuparsi di un neonato ed ecco ad oggi infatti la mia confusione e la sensazione che in questi 4 mesi ho perso tempo, tempo per riconnettermi con la vera Cecilia prima di rientrare al lavoro.

Solo ora che lo scrivo mi rendo conto di quanto utopistica fosse la mia previsione e che essere mamma è da tempo una parte di me, non più separata dalle altre e non meno importante delle altre che compongono il mio Io.

Forse questo è il tempo per fare questo, per essere questo, tempo che mi permetterà poi di fare altro e di essere Altro.

Chissà cosa vorrà dire Essere Cecilia domani.

CHISSÀ, dopo che ho indossato dei pantaloni a pinocchietto per fare un’escursione, non mi pongo più limiti.

Barbie camminata nei boschi

*film con K.Hepburn e Spencer Tracey del 1942

The Marvelous….Tv

Sono davvero pochi i discorsi che mi hanno ispirato, quelli che poi mi hanno illuminato si contano sulla punta delle dita, della mano destra.

Probabilmente se non fossi stata così tanto davanti alla televisione da quando avevo l’età per cambiare canale oggi avrei 3 lauree e un fondoschiena sodo.

Aldilà della morale presente in ogni versione di greco che ho tradotto e di qualche riflessione trovata nei miei libri preferiti, le parole con più pathos e in grado di indicarmi la strada sono state pronunciate da attori del piccolo che del grande schermo. Con tutto il rispetto per i miei amici e conoscenti, professori e datori di lavoro.

E’ stata ovviamente Carrie, nella leggendaria puntata della 6° stagione di Sex and The City, a svegliarmi dalla prospettiva tristissima di accontentarmi di un amore comodo alla veneranda età di 25 anni.

Una Carrie boccolosa e con uno dei suoi famosi vestiti di tulle pronunciò al freddo Russo, reo di averla trascinata a Parigi per farle fare il mero accessorio, queste parole:

Forse questo è il momento di chiarire chi sono io. Io sono una donna, che è in cerca dell’amore, del vero amore. Ridicolo, sconveniente… che ti consuma. del genere: non posso vivere senza di te, amore.

L’effetto ispirante ovviamente è azzerato se uno non ha visto tutte le sei stagioni di Sex and the city, in alternativa ha 3 lauree e un fisico da paura, ma immersa nel mio mood da 25enne delusa dall’amore, l’effetto sbloccante era assicurato. Ancora il bonus psicologo non era previsto.

La scenografia, i costumi e Big che attraversa l’oceano per portarle quell’amore unico e sconveniente hanno contribuito a influenzare la mia mente duttile e a farmi credere nell’amore vero. Vero ed estenuante come quello che mi sono trovata a 26 anni e che a forza di 3 mm all’anno cresce come un Bonsai e con le spine come un 🏜 Cactus.

Lo stesso effetto commovente, dal lat. commovēre «mettere in movimento, agitare, commuovere», lo ha ottenuto in un anonimo pomeriggio di allattamento il discorso molto più ironico e profondo della mia nuova eroina. The Marvelous Mrs Maisel.

Un ebrea di New York vestita come una copertina di Vogue anni’60 che cerca di farsi strada come comica in un mondo di uomini maschilisti e che utilizza le sue disavventure amorose e familiari per spunti ironici per i suoi spettacoli. Midge, irriverente e dal linguaggio osceno per il periodo storico, con i suoi tubini e cappellini abbinati urla almondo la sua voglia di successo e la sua indipendenza.

Cinque stagioni che volano in un attimo, leggere e profonde al tempo stesso, vere e fantasiose come il titolo della serie e che si concludono con il monologo in diretta TV della protagonista che stufa di aspettare si prende il suo meritato successo nonostante i tentativi inutili dei suoi capi e colleghi di boicottarla. Miriam Midge alla fine ci riesce, ottiene quello che voleva e lo fa perché non rispetta le regole imposte, perché forza il sistema e perché fondamentalmente crede in sé stessa. Le sono bastati 4 minuti e una telecamera per spazzare via le delusioni, i fallimenti e la fatica dell’ascesa.

C’era un’opportunità, l’ha presa ed è stata ascoltata. Non serve molto altro per onorare il merito, una semplice opportunità, un’opportunità data, non per forza conquistata.

Non faccio spoiler, dovete ascoltarla e dovete vederla, dovete farvi scendere anche a voi una lacrima, sentir crescere in voi il desiderio di rivalsa e il sacro fuoco dell’ambizione.

Ma sarà possibile che la migliore lezione di empowerment me la deve dare la protagonista di una serie TV?

Ho decisamente bisogno di un taccuino e di un cappellino.

Dovevo sposarmi un norvegese

Non voglio cadere vittima di banali stereotipi o contribuire alla diffusione dei soliti cliché sul genere maschile, almeno più di quanto non abbia già fatto in passato insomma, ma con la nascita di pargolo n.2, mi rendo sempre più conto che dovevo spostarmi più a Nord nella ricerca dell’anima gemella, e per Nord intendo il Mare del Nord.

Con il pensiero verso il Mare del Nord

Dovevo sposarmi un Norvegese o come suggerisce Wikipedia un Islandese o Finlandese, nazioni in cima alla classifica europea per parità di genere.

Certo la barriera linguistica e il freddo sarebbero state grosse prove d’amore, ma dopotutto quale donna può seriamente affermare che il proprio compagno/ marito sia in grado di recepire i comuni impulsi sonori di una conversazione pur condividendo lo stesso idioma?
Ecco sono ricascata sul facile clichè dell’Homo Surdus et Mutus

Per quanto riguarda il freddo mi sento di rivalutare la possibilità di coprirmi dalla testa ai piedi con piumini informi che non fascino il punto vita. Sulle scarpe si giocherebbe la sfida maggiore, ma dopotutto qualche sacrificio per la parità di genere è necessario.

Voglio un uomo che mi gira per casa con un bebè stretto nella fascia e che all’occorrenza sfodera dalla cintura pannolini e pasta barriera con la stessa sicurezza con cui taglia la legna per scaldarsi dal freddo artico.

Io me lo immagino così un Norvegese.

Basta con uomini lagnosi, uomini mammoni, uomini che sbandierano i propri stipendi neanche stessero salvando il mondo, uomini che sembrano illuminati, ma che poi preferiscono giocare a videogiochi nello smartphone fino alle 2 di notte, quando te cerchi di addormentare per l’ennesima volta il pargolo n.2 con la speranza di dormire almeno 4 ore in 3 tempi.

Basta inchinarci al grande Super Uomo che si rende disponibile a fare la spesa e a lavare i piatti una volta alla settimana.
Siamo molto lontani da una reale ed equa divisione del carico mentale e fisico in quella che viene spacciata per famiglia tradizionale.
Ma poi chi la vuole la famiglia tradizionale, io voglio la famiglia norvegese.

Perché la preoccupazione di come gestire due figli deve essere mia prerogativa? Perché devo essere io a chiedere un part time per cercare di conciliare lavoro e famiglia? Perché viene dato per scontato che sia la donna ad occuparsi della prole e che lo faccia anche in modo impeccabile?

Perché mentre io rimpiango un uomo norvegese, dall’altra parte del letto ci si lamenta che non sono abbastanza performante nella gestione casalinga?

Sento tanto parlare di parità di genere, empowerment femminile, ma oltre che dalle istituzioni il cambiamento deve avvenire dentro le nostre amate mura casalinghe, senza che una donna non sia costretta e emigrare con il pensiero verso il freddo.

E non mi dite che sto raccontando una realtà inesistente, perché ho molte cartucce da sparare, whatsapp alla mano di amiche nella stessa barca.

Il vero stereotipo duro a morire è quello della donna caregiver, non dell’uomo menefreghista, quello sono la prima a volerne l’estinzione. Evitiamo un’emigrazione di massa!

Keep calm and ….go on

Mi sono presa una pausa.

Mi sono presa una pausa da me stessa, dal mio piccolo mondo, dal mio modo di condividere le emozioni e riflessioni, dalla mia Costoladiadamo.

Questo blog non è un semplice alias per me. Questo blog è ed è sempre stato la mia finestra aperta sul mondo, quel piccolo spiraglio da cui i miei pensieri random potevano scappare dalla quotidianità.

Sono mesi che non pubblico, ma sono mesi in cui in realtà ho scritto. Sulla carta, come facevo un tempo. Su piccoli pezzetti di carta, sparsi adesso nel portafoglio o tra i libri che non ho letto.

Sono stati mesi in cui la Vita ha preso il sopravvento anche sulla quotidianita’ e allora ho accostato la finestra sul Mondo, per evitare che il vento disperdesse quello che ancora non ero in grado di tenere sul tavolo, quello che ancora non ero in grado di elaborare.

Questi mesi ho semplicemente vissuto. Senza pormi troppe domande e senza cercare di darmi delle risposte.

Il 2023 mi ha portato un grande lutto e allo stesso tempo una grande gioia.

Un grande uomo, colui che mi ha dato la vita e cresciuto con il suo esempio, mio padre, se ne è andato. Senza clamore, né sorprese. In silenzio e con dignità. Contemporaneamente un piccolo uomo in divenire è entrato nella nostra piccola famiglia. Una nuova vita 🌱 tutta da scoprire e da amare.

Il mio piccolo Leone 🦁 ha solo pochi giorni ed ha già sparso tutti quei fogli che avevo passivamente impilato in questi mesi.

Credo che li lascerò vagare ancora per un po’ prima di dargli un senso più profondo e una progettualità, adesso ho proprio bisogno di vedere questo vortice impazzito e forse fra un po’ di tempo riapriro’ la mia finestra sul Mondo.

Piove, governo ladro

La mattina mi sveglio con i piccioni che fanno la lotta, o qualcosa che gli assomiglia molto direttamente sul mio  balcone della camera da letto.

La bellezza della natura alle 6 del mattino.

Stamani alle 5 in punto mi ha svegliato la pioggia, certamente molto più educata e rispettosa del mio sonno veglia. Ho sentito tintinnare le gocce leggere e mi sono alzata per controllare se la perdita fosse sempre lì, nel mio tetto, sopra la mia testa.

Poi dicono che questo mondo è senza certezze. Io ho tutti i giorni il dolce risveglio dei piccioni, in alternativa la pioggia che mi potrebbe entrare in casa.

La pioggia. La grande assente di questa calda estate. Desiderata, invocata e nel mio caso anche temuta.

Dall’ansia delle formiche al piano terra del mio loft grigio all’ansia delle gocce in casa sul tetto panoramico. Si sale solo di livello.

Se piove apri l’ombrello 🌂 ☂️ – così scrisse un ragazzo alla mia amica quando in piena adolescenza noir lei le scrisse la famosa frase del film cult il Corvo, non può piovere per sempre.

November rain dei Guns ‘n Roses è una delle mie canzoni preferite, e forse anche un po’ per questo me la sono gufata, espressione folcloristica per indicare la mia capacità di auto-attirarmi sciagure, quando ho comprato una casa al 5° e 6°piano, quando sono andata a vivere in un tetto insomma.

Come canta il mio Axl in quel capolavoro di canzone << niente dura per sempre, nemmeno la fredda pioggia di Novembre>>, nemmeno la mia perdita nel tetto durerebbe, se il condominio si decidesse a ripararla.

Se piove apri l’ombrello, se ti piove in casa ripara la perdita

Non ci vuole Sun Tzu per capire cosa fare….

Esplicativo quanti detti ci sono sul fatto che piove o che deve piovere o che ha piovuto troppo.

Esplicativo del mio status il detto Piove Sempre Sul Bagnato, ma mi piace usare anche la versione anarchica Piove, governo ladro!

Ho scoperto da poco anche l’origine storica di questo detto, il vero significato o uno dei presunti veri significati.

Secondo altri l’espressione “Piove, governo ladro!” nasce nei territori del nord Italia (Regno Lombardo-Veneto, 1815-1848) sotto l’occupazione Austriaca. I contadini, tassati in base al raccolto, sapevano che ad annata piovosa con presunto (dai governanti austriaci) raccolto più abbondante ci sarebbe stato un conseguente aumento delle tasse. Da qui l’uso di imprecare contro il governo quando piove

Cit. Wikipedia

La storia dell’Arca di Noè, di cui c’è una carinissima riproduzione Playmobil, ci dovrebbe ricordare che nella barca durante il grande Diluvio non c’è posto per tutti. Menomale io ho già imparato a nuotare..

Un cactus per anello

Ci sono veramente pochi modi per zittarmi. Di solito capita naturalmente se sono parecchio felice o se, al contrario, sono immersa in pensieri nefasti.

Se in TV c’è “Una Mamma per amica” o se sto mangiando del cioccolato ho la capacità di stare in silenzio per un tempo abbastanza prolungato, ma diciamo che sono pochissime altre le cose che interrompono velocemente il flusso delle mie parole e dei miei pensieri.

Quel simpaticone del mio compagno ne ha trovata una decisamente originale.

Un paio di mesi fa si avvicinava la data del nostro 10esimo anniversario e si era fatta di nuovo forte dentro di me quella atavica speranza che finalmente l’Uomo in grigio potesse regalarmi l’Oggetto. Lo status simbolo per l’eccellenza. L’anello. SPECIFICO il diamante 💎. E con il desiderio era nuovamente comparsa anche la convinzione che anche per quest’anno sarebbe rimasto soltanto un desiderio.

Superfluo sottolineare che non porto alcun tipo di gioiello e di monile, un po’ per pigrizia, un po’ per salvaguardia del gioiello stesso. Ma per un diamante posso fare qualche eccezione e una buona assicurazione.

In 10 anni ci sono stati momenti perfetti per la consegna dell’anello. Come quando siamo rimasti bloccati in autostrada per andare all Ikea e abbiamo fatto il tragitto di ritorno dentro la macchina sul carratrezzi, il top del romanticismo.

O come quando mi ha costretto a salire sulla ruota panoramica del Prater a Vienna e ho pianto dal terrore tutto il tempo. Ad ogni castello, torretta medievale, vetta ho pianto e contemporaneamente mostrato la mano, ma niente, il cuore arido non si è mai sciolto.

Il 29/4 abbiamo festeggiato dopo due anni di stop forzato i nostri 10 anni alla Tana degli Orsi, il ristorante del nostro secondo appuntamento, il luogo deputato al nostro romanticismo. Nella perfetta location e con davanti la mia dolce metà e una bottiglia di vino, arriva la crudele confessione.

Lui, con quegli occhi color bottiglia d’acqua Verna mi rivela che si, effettivamente questa volta ci aveva pensato di comprarmi un anello, ma ci aveva ripensato dopo la mia ennesima scenata sul Risparmio e sul fatto che un anno di ristrutturazione della casa ha prosciugato i nostri conti.

Cosi adesso, a causa della mia tirchieria, invece che un diamante al dito ho un Cactus 🌵 alto 150 cm in salotto.

Un amore di spine. Si vede il cactus?

Non contento, torando al veloce modo di azzittarmi il Genio si è screenshottato – perdonami Umberto Eco – un anello di diamanti di Tiffany con il quale l’altro giorno in uno dei miei sproloqui mi ha freezzato – perdonami anche te Ludwig Wittgenstein!

Al prossimo anniversario probabilmente mi regalerà una pianta carnivora….

Come la mamma

Quando cresci ti rendi banalmente conto che la mamma è un entita’ mitologica. Puoi avere 20, 30 o 40 anni, ma fondamentalmente ne hai sempre bisogno. Inoltre è l’unica che continua a regalarti Uova di Pasqua Kinder e a preoccuparsi che tu abbia abbastanza mutande e calzini puliti.

Per Pasqua ho aperto contenta il mio uovo con tanto di sorpresa e ho ricevuto 10 paia di slip nuovi. Che cosa voglio di più dalla vita?

Anche se sono mamma della teppista per me oggi è la festa della mia di Mamma, quel concentrato di donna 🚺 di 1,50 m con un accento incomprensibile e dall’animo fastidiosamente ottimista. Non le assomiglio così tanto – per fortuna – ho ereditato da lei le gambe e la strana forma dell’anca che abbiamo tutte in famiglia, Emma compresa. Un leggero strabismo di Venere e l’assenza totale di agilità. Per il resto mi ha trasmesso quella tirchieria Freiburger che difronte alle piccole somme simula la morte e che non batte ciglio quando invece deve comprare casa. Non parliamo della capacità innata di bruciare qualsiasi pietanza, anche se sta bollendo in un litro d’acqua.

Matteo aggiungerebbe che ho ereditato anche la freddezza e la tendenza a non ascoltare nessuno, ma perché mettere il dito nella piaga

Ho sempre pensato di assomigliare a mio padre: stessi interessi, stessi ideali e stessa vivacità mentale, ma più invecchio e più assomiglio alla donna bassa.

Più lei invecchia e più assomiglia a suo padre, come se i geni lombardo – elvetici iniziassero a prevalere dopo gli anta, anche se non credo che riuscirò mai a mettere i calzini con le infradito e i Bermuda. Più cresco o meglio invecchio, più mi rivedo in quella donna che fin da piccola mi ha cresciuto come una sua pari, sbagliando ovviamente, ma insegnandomi così a fare le mie scelte.

Oltre all’anca mi ha trasmesso la convinzione che il mondo fosse pieno di fantastiche possibilità e che l’indipendenza era il principio cardine di qualsiasi mia scelta futura.

Ringrazio quotidianamente di non aver preso da lei il gusto per arredamento e per i vestiti, ma se oggi ho imparato a scegliere è solo merito suo. Dal colore delle scarpe da abbinare alla casa da comprare, dal cuscino perfetto per il mio divano grigio al compagno con cui costruire una famiglia, raramente mi trovo dubbiosa, raramente non so cosa scegliere e anche in quel caso scelgo, perché nessuno lo farà al posto mio.

Di mamma ne abbiamo solo una, più o meno ingombrante e fastidiosa, piena di difetti e capace di grandi gesti d’affetto.

E forse grazie ai suoi innumerevoli difetti che ora guardo ai miei con più indulgenza e spero che Emma Sveva un giorno faccia lo stesso.

Cotoletta Vs hamburger

Simpatica come una milanese

Nana’ 1952

Con ansia, aprile

Superati i 30 anni aspetto con ansia oramai poche cose. L’arrivo del venerdì sera per piombare in un sonno profondo sotto il mio copripiumone nuovo, la colazione silenziosa e lunga del sabato mattina, la spesa settimanale di Matteo che ha poi il dolce onere di trasformare tutte quelle verdure in qualcosa di commestibile. Quando arriva aprile per noi arriva sempre il momento della svolta vegana stagionale, un’illuminazione dopo la prima prova costume.

Aspetto con ansia l’arrivo della primavera, per la precisione di aprile perché ricorre l’anniversario mio e di Matteo, di quel primo appuntamento a Cortona nel quale, dopo una scarpinata con tacco 12, con molta classe ho tirato fuori dalla mia borsa le ballerine e sono scesa letteralmente dal piedistallo.

Aspetto con ansia l’invito a matrimoni e battesimi primaverili, solo per avere la scusa di tirare fuori dalle scatole le mie migliori scarpe e le borsette da cerimonia. Una grossa commozione vedere come riesco a infilare tutte le mie cianfrusaglie, agenda compresa, dentro una pochette.

Aspetto con ansia aprile perché esce il catalogo premi dell’Esselunga.

Aspettavo con ansia il nostro 10° anniversario per regalare a Matteo, utilizzando i punti Esselunga, il frullatore ad immersione cordless. Nel caso dovesse frullare anche sul tetto. Mi sa che qualcuno aspettava con ansia la stessa cosa perché con mio grande rammarico era ovviamente terminato.

A forza di aspettare, adesso devo ripiegare sulle solite creme antirughe da uomo.

Buon anniversario a Noi

L’uomo che sussurrava al Topo

Chi non ha mai visto il film tratto dall’omonimo libro “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, no dico chi? Uscito nel 1998, diretto e interpretato da Robert Redford con una giovane Scarlett Johansson e Kristin Scott Thomas ha strappato miliardi di lacrime durante la visione e di battute, dopo.

Da poco tempo in casa mia si sta girando il sequel di questo famosissimo film 🎥, o almeno, per non mancare di rispetto a Robert Redford di cui sono perennemente innamorata, il suo rifacimento in chiave ironica. Dopo l’uomo che sussurrava ai cavalli, presto nei migliori cinema di serie B uscirà “l’uomo che sussurrava ai topi”.

Tutti gli appartenenti al genere maschile ad un certo punto affrontano quel difficile periodo della vita che prende nome di Mezza età, chi prima, chi dopo, si trova a fare i conti con la gioventu’ che svanisce e con le creme antirughe che funzionano sempre meno.

C’è chi si perde in una selva oscura come il nostro Dante, chi si compra e trova il coraggio di indossare pantaloni di pelle attillati, c’è chi cambia macchina e moglie per poi rendersi conto come lo statuario Jason Momoa che forse lasciare la strada vecchia, anche se davvero più vecchia, per quella nuova non era affatto una buona idea e chi come il mio Matteo, superati da poco i 40 anni, acquista la consapevolezza di avere semplicemente bisogno di una nuova compagna di vita, silenziosa e tascabile, a differenza della prima.

Così da circa due settimane abbiamo accolto nella nostra casa perennemente in ristrutturazione un nuovo membro, apparentemente acquistato per la gioia della figlia, ma palesemente di grande conforto al padre: un orsetto siberiano che abbiamo chiamato Alabama, per gli amici Lilli.
Con la mia solita diplomazia, menomale che ho studiato Scienze Politiche, non ho minimamente nascosto la mia perplessità sulla new entry: praticamente vivo con un un topo!

Un topo che passa il giorno a dormire e la notte a girare sulla ruota, per nulla silenziosa, un topo che ovviamente adesso mangia solo cibo biologico e che secondo il suo padrone ha bisogno di una ruota più grande per esprimersi al meglio, un topo che per fortuna ha il buongusto di espletare le sue funzioni dentro la gabbia permettendomi ogni 3 giorni di pulirlo come se non ci fosse un domani.

Solo io e Emma Sveva in questa convivenza imposta abbiamo mantenuto una coscienza critica; carino, simpatico, ma pur sempre un Topo. Ho capito che eravamo le uniche rimaste ancora lucide la prima mattina che lo ha lasciato per andare al lavoro: io con una tazza di ☕ bollente maledivo i lunedì, Emma ancora dormiva e Lui, prima di chiudere dietro di sè il portone, ha sussurrato un dolce “A stasera”. Al topo!

Si vede il Topo?