Non voglio cadere vittima di banali stereotipi o contribuire alla diffusione dei soliti cliché sul genere maschile, almeno più di quanto non abbia già fatto in passato insomma, ma con la nascita di pargolo n.2, mi rendo sempre più conto che dovevo spostarmi più a Nord nella ricerca dell’anima gemella, e per Nord intendo il Mare del Nord.

Dovevo sposarmi un Norvegese o come suggerisce Wikipedia un Islandese o Finlandese, nazioni in cima alla classifica europea per parità di genere.
Certo la barriera linguistica e il freddo sarebbero state grosse prove d’amore, ma dopotutto quale donna può seriamente affermare che il proprio compagno/ marito sia in grado di recepire i comuni impulsi sonori di una conversazione pur condividendo lo stesso idioma?
Ecco sono ricascata sul facile clichè dell’Homo Surdus et Mutus
Per quanto riguarda il freddo mi sento di rivalutare la possibilità di coprirmi dalla testa ai piedi con piumini informi che non fascino il punto vita. Sulle scarpe si giocherebbe la sfida maggiore, ma dopotutto qualche sacrificio per la parità di genere è necessario.
Voglio un uomo che mi gira per casa con un bebè stretto nella fascia e che all’occorrenza sfodera dalla cintura pannolini e pasta barriera con la stessa sicurezza con cui taglia la legna per scaldarsi dal freddo artico.
Io me lo immagino così un Norvegese.
Basta con uomini lagnosi, uomini mammoni, uomini che sbandierano i propri stipendi neanche stessero salvando il mondo, uomini che sembrano illuminati, ma che poi preferiscono giocare a videogiochi nello smartphone fino alle 2 di notte, quando te cerchi di addormentare per l’ennesima volta il pargolo n.2 con la speranza di dormire almeno 4 ore in 3 tempi.
Basta inchinarci al grande Super Uomo che si rende disponibile a fare la spesa e a lavare i piatti una volta alla settimana.
Siamo molto lontani da una reale ed equa divisione del carico mentale e fisico in quella che viene spacciata per famiglia tradizionale.
Ma poi chi la vuole la famiglia tradizionale, io voglio la famiglia norvegese.
Perché la preoccupazione di come gestire due figli deve essere mia prerogativa? Perché devo essere io a chiedere un part time per cercare di conciliare lavoro e famiglia? Perché viene dato per scontato che sia la donna ad occuparsi della prole e che lo faccia anche in modo impeccabile?
Perché mentre io rimpiango un uomo norvegese, dall’altra parte del letto ci si lamenta che non sono abbastanza performante nella gestione casalinga?
Sento tanto parlare di parità di genere, empowerment femminile, ma oltre che dalle istituzioni il cambiamento deve avvenire dentro le nostre amate mura casalinghe, senza che una donna non sia costretta e emigrare con il pensiero verso il freddo.
E non mi dite che sto raccontando una realtà inesistente, perché ho molte cartucce da sparare, whatsapp alla mano di amiche nella stessa barca.
Il vero stereotipo duro a morire è quello della donna caregiver, non dell’uomo menefreghista, quello sono la prima a volerne l’estinzione. Evitiamo un’emigrazione di massa!