Photo Bia
Forrest Gump paragonava la vita a una scatola di cioccolatini, seduto su una panchina ad analizzare il significato dell’esistenza umana.
Io seduta nel mio sgabello con i gomiti sul marmo grigio della mia isola grigia a fare ripetizioni a una 15enne annoiata ho decisamente un’altra prospettiva. Non vedo davanti a me una scatola di cioccolatini – finita ieri sera – ma vedo la mia bellissima scala in ferro battuto color grigio antracite e ripenso a quale possa essere stato l’esatto momento in cui la mia parte grigia ha superato quella rosa shocking?
<< Lo so tesoro che adesso mi vedi così con gli occhiali e l’apparecchio ai denti che tento di spiegare l’importanza del latino a te che non ti piace leggere nemmeno un post su Internet, ma se tu sapessi dal 2000 al 2008 su quanto cubi ho ballato io, forse ti sembrerei meno noiosa. Lo so che non immagini così “vestita come Diane Keaton a fine anni ’70” come sono ora che la maggior parte delle mie scarpe fino a qualche anno fa assomigliavano a quelle delle Holograms e che avevo talmente tanti, ma tanti brillantini in faccia da rischiare l’arresto per abbaglio notturno.>>
Sarei tentata per svegliarla da quello sbadiglio perenne e dalla possibile cancrena del suo dito indice sullo smartphone di dirle questo e di insinuare in lei un minimo di curiosità, ma c’è qualcosa di peggio del non avere interesse per il latino: la sufficienza adolescenziale con cui mi sentirei chiedere chi sono le Holograms e perché ballavo su una forma geometrica e allora so già che il mio cuore non reggerebbe a un mondo di #chissenefrega e #stica!
Mi arriccio i capelli con le dita ripenso all’apparecchio che ho appena messo e mi dico che nonostante il mio apparente grigiore io non sono nessuno per giudicare questa sua indifferenza digitale soprattutto dopo che quest’estate ho sbattuto la faccia su un palo della luce con conseguente crisi ipocondriaca e convinzione di essermi autoprocurata una commozione cerebrale, il tutto per scrivere un messaggio stupido su whats app. Si vede proprio che sono una scema degli anni ’80.
Nessuno è immune dall’invecchiamento e spesso non ci accorgiamo che qualcosa in noi è cambiato fino a che non ci specchiamo negli occhi di chi la vita la vede a colori accesi e definiti. Si capisce col tempo che la vita non è né rosa shocking né bianco e nero, ma in realtà un’infinita scala di grigi. Si capisce con il tempo che un grigio balena è diverso da un grigio topo e entrambi lo sono da un un grigio tortora; quando si cominciano a vedere le differenze nei grigi il cambiamento é gia avvenuto e gli stivali fucsia sono oramai chiusi in una scatola in garage ad aspettare pazienti la prossima festa a tema.
Svegliata dalle mie elucubrazioni inutili sul senso della vita, mi sento chiedere dalla mia allieva 15enne quando ho intenzione di tingermi i capelli bianchi. E io, tentata per una attimo di aprire la finestra per buttarmi di sotto, le rispondo: << tesoro non sono bianchi, sono grigio chiaro e poi mi piacciono perché mi ricordano che mi piace vivere nelle sfumature>>.
Non siamo noi una continua fusione delle nostre contraddizioni?