R-e-s-i-l-i-e-n-z-a. A parte le difficoltà che provo nello scandire le lettere che la compongono, uno scioglilingua è più divertente, secondo la mia modesta opinione questa parola è davvero brutta sia nel suono che nel significato.
Oggi tutti ne parlano come se fosse la scoperta psicologica del millennio, seconda solo all’inconscio di Freud. In campo psicologico viene utilizzata per esprimere la tenacia necessaria per superare eventi traumatici e anche per “resistere agli urti ” della vita quotidiana. Possiamo annoverare tra questi ultimi anche i poco eleganti “calci nel sedere” e le sonore “porte in faccia”.
Ora, non è che tutti i giorni mi sveglio e me la prendo con un vocabolo solo per il solo fatto che esiste, ma al mio ennesimo “calcio nel sedere lavorativo” questa volta comunicato gentilmente per e-mail mi sono sentita risuonare nella testa queste 10 lettere e sulla spalla una pacca più dolorosa che consolatoria. Ho pensato come un automa: sono resistente agli urti, sono resistente agli urti e un secondo dopo mi sono chiesta <<<Ma chi vuole essere resistente agli urti? Non è che da bambina quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande rispondevo “resistente agli urti”. Non vado a letto più contenta la sera solo per il fatto di aver ricevuto una medaglia immaginaria con scritto “resilienza forever“>>. Anche se una tutta dorata e con un fiocchetto aiuterebbe!
Non sono mica nata padella! Non ho un libretto d’istruzioni e una garanzia di 2 anni.
A parte il fatto che visto le condizioni della mia schiena, i lividi giallo-violacei sparsi sulla mia pelle e la bruciatura nella coscia destra procurata dal ferro-arriccia capelli è palese che non sono affatto immune agli urti, ma secondo me ci dovrebbe essere un limite anche alla capacità di superare i problemi e gli ostacoli. Il limite? Utopistico ovviamente. Che il mondo cominci a girare per il verso giusto e che gli ostacoli finiscano.
E ovviamente domani è un altro giorno e un nuovo inizio